Alla luce di quanto emerso dalla bozza della riforma del pubblico impiego, risulta necessario focalizzarsi sull’efficienza del lavoro. Negli ultimi anni il nostro Paese ha perso produttività a causa delle gravissime lacune nel settore digitale, è evidente che abbiamo una bassa capacità di rendere efficiente il lavoro non a caso fatichiamo a premiare il merito. Questo è dovuto alla poca flessibilità che abbiamo nel valorizzare forme nuove di lavoro, tendiamo ancora a pagare il lavoro per ora lavorata quando invece avrebbe più senso soffermarsi sulla rapidità ed efficacia del lavoro svolto.
La tassazione sul lavoro, scarsa digitalizzazione, poca efficienza: tutto questo rende instabile e precario il mercato del lavoro. Quello che attende i giovani italiani sarà un mercato del lavoro entra/esci, in cui le competenze guadagnate a scuola risulteranno già vecchie ed obsolete non appena si tenterà di affacciarsi nel sistema. La fascia dei cinquantacinquenni che oggi hanno perso il lavoro, nel medio periodo si scorcerà verso frange di popolazione più giovane, come i trentenni, persone a cui si richiederà una formazione del tutto nuova per sfidare la competizione lavorativa di un mercato in costante trasformazione.
Questo deve esserci di lezione. Le imprese devono tornare nelle scuole e le scuole devono avvicinarsi alle imprese.
Con la nuova riforma del pubblico impiego si dovrebbe limitare il merito ad alcuni e non a tutti alla luce di obiettivi raggiunti che, ragionevolmente non potranno essere soddisfatti da chiunque. E’ un efficientamento della spesa che nel pubblico, come già avviene nel privato, deve spingere i dipendenti a fare sempre meglio.