La Stampa, 26 ottobre 2016 – Il capitale umano è tra le molte cause della timida crescita del nostro Paese. Le imprese faticano a investire sulle risorse umane ma ci provano. Il governo lo ha fatto a parole ma ha ottenuto poco per alimentare la capacità di creare occupazione in grado di generare alta produttività, competizione e innovazione. Gli incentivi allegati al Jobs Act ne sono la dimostrazione. Vorrebbero favorire la quantità ma tralasciano la qualità. I miei studenti confondono spesso il Gdp (Gross Domestic Product) cioè il Pil con il GPpa (Grade Point Average) cioè il voto di laurea nelle università statunitensi che dovrebbe riassumere le qualità – e il merito – di chi sta per entrare nel mercato del lavoro. E’ evidentemente un lapsus da ragazzi distratti che però ci fornisce l’ occasione per porre l’attenzione sulla qualità del capitale umano e il rapporto con la crescita. Il mercato attuale richiede innovatori, cioè individui capaci di rispondere alle esigenze delle rapide trasformazioni dell’economia (e della società) digitale e globale. Dovrebbero essere loro a determinare la metamorfosi del nostro tessuto produttivo verso l’ economia digitale.
Possiamo contare sull’immediato ingresso di innovatori nel mercato? Gli zerovirgola della nostra economia ci suggeriscono che di innovatori se ne vedono ancora pochi. A preoccuparci dovrebbe essere il trend. Diplomati e Laureati aumentano ma siamo e cresciamo sotto la media Ocse. Inoltre i tanti non laureati che cercano lavoro hanno scarsa vocazione professionale. La Germania invece, ha investito sulle scuole professionali. L’ 85% degli impiegati sprovvisti di laurea ha maturato un percorso professionale avanzato (meno del 60% in Italia). I diplomati tedeschi guadagnano il 70% dei laureati, circa il 92% del reddito medio. In Italia guadagnerebbero oltre il 40% di meno. Il modello vocazionale tedesco è pressoché unico al mondo e consente alle imprese di trovare costantemente personale qualificato. La Buona Scuola è sprovvista di un piano didattico che muove in questa direzione nonostante la lodevole Alternanza. Non potrebbe altrimenti, mancando un progetto politico con una visione del futuro e un piano di sviluppo. Il blocco dei Paesi scandinavi investe più del 2% del Pil nella così detta educazione terziaria, Germania e Francia sono poco sotto il 1,5%, mentre l’ Italia è lontana dal 1%.
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