Con l’aiuto di Giacomo Bandini vi propongo una rilettura rapida dei dati INPS/INAIL sui voucher.

Voglio ricordare che il voucher è uno strumento di pagamento ne rapporti di lavoro accessorio. Ad introdurre i lavoro accessorio fu la Riforma Biagi per regolare rapporti difficilmente contrattualizzabili facendo emergere dal mercato nero mansioni quali: collaborazioni domestiche, giardinaggio, ripetizioni.
Con la Riforma Fornero e il Jobsact si sono allargati i settori lavorativi interessati e la forbice economica.

Numeri INPS
Ogni lavoratore può percepire tramite voucher un massimo di 2 mila euro dallo stesso committente nel corso di un anno e, dopo le modifiche introdotte dal governo Renzi, un massimo di 7 mila euro netti in totale nel corso dell’anno (il limite è rispettivamente di 3 mila e 2 mila euro per coloro che percepiscono forme di sostegno al reddito e pensionati).

Il numero di voucher equivalenti a 10 euro complessivamente venduti dal 2008 al 31 dicembre 2015 è pari a 277,2 milioni per un importo complessivo di 2,8 miliardi di euro. La dinamica dei voucher venduti è stata particolarmente rilevante nel triennio 2013-2015 con incrementi annui attorno al 70%.
Nel 2015 i voucher venduti sono stati 115 milioni per un importo complessivo di 1,15 miliardi di euro.

Il numero di committenti che hanno complessivamente acquistato buoni lavoro dal 2008 al 31 dicembre 2015 è pari a 930.578.

Di 277,2 milioni di voucher venduti ne risultano riscossi 242,8 milioni. Di questi, 238,1 milioni hanno remunerato attività effettuate entro il 31 dicembre 2015, mentre 4,7 milioni sono stati utilizzati per attività concluse nei primi tre mesi del 2016.

Il numero di lavoratori che hanno svolto attività di lavoro accessorio tra il 2008 e il 2015 in uno o più anni risulta pari a 2.508.131. Considerando i dati annuali, si registra che dai 25.000 lavoratori coinvolti nel 2008 si è passati a poco meno di 1,4 milioni nel 2015. Si tratta di lavoratori coinvolti in genere per archi temporali di breve durata.

Il numero medio di voucher riscossi annualmente dal singolo lavoratore è sempre stato modesto, e a partire dal 2010 notevolmente stabile, attorno ai 60 voucher. All’allargamento della platea dei lavoratori coinvolti non si è dunque affiancata l’intensificazione del ricorso ai voucher per il singolo lavoratore.

Nel 2008 i voucher apparivano sostanzialmente “uno strumento per vecchi”; nel 2011 il baricentro risulta già spostato sui giovani, destinatari del 40% dei voucher; nel 2015 il peso dei giovani risulta ulteriormente cresciuto (assorbono il 43,1% dei voucher) mentre si è rafforzato pure il rilievo dei trentenni (20,6%) e dei quarantenni (17,4%); agli over 60 è rimasta una quota modesta (8%).

Trend generazionali
I pensionati – crescono continuamente in valori assoluti ma diminuiscono in termini relativi: dal 31% del 2010 sono scesi all’8% nel 2015.

I privi di posizione – vale a dire i presenti nel mercato del lavoro esclusivamente tramite voucher – crescono a ritmi più che doppi rispetto ai pensionati ma comunque perdono anch’essi quota sul totale: erano il 22% nel 2010, sono stabilizzati sul 13-14% nell’ultimo triennio. I privi di posizione sono verosimilmente studenti con età media di 22,6 anni che sono per la maggior parte inattivi (l’80%) e arrotondano la paghetta con lavori saltuari pagati a voucher.

Gli attivi (lavoratori o percettori di ammortizzatori sociali) – È il gruppo più numeroso, annovera dal 2013 oltre il 50% del totale dei prestatori: nel 2015ha superato i 750.000 lavoratori coinvolti.
Comprende chi ha una posizione attiva in un’altra gestione assicurativa o beneficiari di indennità di disoccupazione a seguito della perdita del lavoro. L’età media è pari a 35,1 anni e dal 2012 le donne rappresentano la quota maggioritaria superando, seppur di poco, i maschi.
All’interno di questo gruppo distinguiamo (sempre facendo riferimento ai dati 2015):
– 250.000 prestatori che hanno percepito indennità di disoccupazione o sono stati beneficiari di cassa integrazione (quasi tutti hanno comunque nel medesimo anno percepito anche retribuzioni di lavoro. I percettori esclusivi di ammortizzatori sociali sono una minoranza: circa 24.000 nel 2015)
– quasi 400.000 prestatori che hanno svolto nel medesimo anno attività di lavoro alle dipendenze di imprese private extra-agricole (area Uniemens);
– circa 100.000 altri lavoratori: confluiscono in tale aggregato i dipendenti pubblici, gli operai agricoli, i lavoratori domestici, i lavoratori autonomi etc.

Emerge che l’insieme di prestatori (lavoratori a voucher) nella categoria attivi è complessivamente costituito da:
1. occupati part-time, circa il 45% del totale;
2. lavoratori full-time a tempo determinato o stagionali, poco meno del 30%;
3. lavoratori con impiego standard, e cioè full-time a tempo indeterminato, poco più del 20% (di questi, circa uno su cinque ha impiego continuo, cioè full-year);
4. prestatori che hanno percepito solo l’ammortizzatore (quota residuale).

In sostanza si evidenzia una netta associazione tra lavoro accessorio e carriere lavorative discontinue o a orario ridotto. Quanto al numero medio di voucher percepiti esso risulta inversamente correlato con la quota di giornate lavorate nell’anno: è infatti massimo (78) per i soggetti che non hanno mai lavorato nell’anno (hanno percepito solo indennità di sostegno al reddito) e minimo (51) per i soggetti con giornate lavorate e retribuite che hanno praticamente saturato l’intero anno.

I Silenti – si tratta di oltre 300.000 prestatori per i quali il lavoro accessorio, pur non costituendo l’unica esperienza lavorativa della vita, risulta comunque la fonte esclusiva di reddito da lavoro nel 2015. L’età media risulta in tendenziale crescita (36,6 anni nel 2015, tre anni in più rispetto al 2010) mentre la quota di donne, sempre maggioritaria, ha oscillato tra il 54% del 2010 e il 57% del 2015. Questo gruppo include sia situazioni di disoccupazione di lunga durata (anche post ammortizzatori) sia situazioni afferenti a soggetti che cercano un rientro (anche parziale) nel mercato del lavoro.

Datori di lavoro
– quasi il 65% dei committenti utilizza il lavoro accessorio in modo marginale: pochi lavoratori (fino a 5) pagati poco (al massimo 70 voucher)
– il 21% dei committenti fa un uso intensivo e selettivo del lavoro accessorio: pochi prestatori (fino a 5) pagati relativamente più della media (oltre 70 voucher pro capite);
– l’11% dei committenti fa un uso estensivo del lavoro accessorio: molti lavoratori (più di 5) pagati poco (al massimo 70 voucher);
– il restante 3% dei committenti fa un uso rilevante del lavoro accessorio: molti lavoratori (più di 5) pagati molto (più di 70 voucher). Tre su quattro tra i grandi committenti precedentemente individuati appartengono a quest’ultima categoria.

Imprese
– la quota di imprese (misurata in termini di costo del lavoro) che ricorrono anche al lavoro accessorio è in continuo e netto aumento, pari al 13,9% nel 2015;
– per tali imprese, inoltre, l’incidenza del costo del lavoro accessorio sul costo totale del lavoro dipendente + accessorio è anch’essa in crescita costante: era 0,75% nel 2011, nel 2015 è 1,19%;
– “alberghi e ristoranti” è il settore economico in cui è massimo il valore di entrambi gli indicatori: 39% è la quota di imprese che ricorrono anche al lavoro accessorio, per esse l’incidenza del costo dei voucher è 3,4%.

Conclusioni Inps
Il sommerso – Più che a un’emersione del nero l’attuale situazione dei voucher fa pensare ad una regolarizzazione minuscola (parzialissima) in grado di occultare la parte più consistente di attività in nero. In questo senso si può pensare ai voucher come la punta di un iceberg: segnalano il nero, che però rimane in gran parte sottacqua.

L’intreccio tra voucher e lavoro nero si può sviluppare con due diverse modalità:
a. ogni giornata di lavoro accessorio è “coperta” da almeno un voucher ma il compenso “ufficiale” – quello appunto regolato con voucher – è lungi dall’essere quello reale, che è integrato in nero: in tal caso la
dimensione del sommerso è grossomodo funzione delle ore lavorate eccedenti a quelle regolate con i voucher; L’età media dei prestatori di lavoro accessorio privi di altra posizione assicurativa nel 2015 è 22,6 anni.
b. solo alcune giornate di lavoro prestate sono “coperte” dai voucher (integralmente o parzialmente); in tal caso il nero è funzione, oltre che delle ore eccedenti, anche delle giornate di lavoro eccedenti quelle regolate con i voucher ma comunque incluse nel “nastro” di giornate dichiarate come periodo di lavoro accessorio.

Il recente schema di Decreto legislativo di integrazione e correzione del Jobs Act, attualmente all’esame delle commissioni competenti del Parlamento, mira a impedire questa seconda modalità, prevedendo una comunicazione preventiva almeno un’ora prima dell’inizio della prestazione di lavoro accessorio.

Il sospetto che il lavoro regolato con voucher sia un succedaneo del lavoro a termine, e in particolare del lavoro somministrato – a tale ipotesi si possono contrapporre due obiezioni:
a. la prima è di tipo socio-politico. Le stesse agenzie di lavoro somministrato non hanno sviluppato un rilevante fuoco di sbarramento contro i voucher: evidentemente non li ritengono molto “pericolosi” per il loro mercato. E nell’ultimo biennio il lavoro somministrato è cresciuto sistematicamente nonostante i voucher e nonostante la liberalizzazione dei contratti a tempo determinato;
b. la seconda obiezione deriva dalle analisi sviluppate: se i voucher fossero utilizzati in alternativa a contratti regolari ci si dovrebbe aspettare una loro consistente distribuzione vicino alla soglia massima di reddito consentito, proprio per sfruttare appieno la potenzialità di alternativa ad altri contratti. In realtà ciò non sta accadendo e si attestano invece su valori inferiori.

Conclusioni alternative
Abolire il voucher non ha senso dal momento che:
– lo stesso INPS sottolinea che i numeri sui voucher sono stati evidenziati soprattutto in quanto fenomeno nuovo e ancora in via di maturazione;
– le irregolarità si possono ipotizzare in modo massiccio soprattutto per la categoria dei Silenti ossia 300.000 lavoratori circa che hanno nel voucher l’unica fonte di reddito. Essi sono circa il 23% dei prestatori pagati con voucher. Dunque sono una minoranza nel panorama voucher;
– Anche il part-time è stato giudicato nel 12% dei casi da parte dell’INPS come una formula per coprire e mascherare il lavoro nero. Eppure nessuno si sognerebbe di abolite il part-time quanto piuttosto di regolamentarlo;
– Lo schema di decreto governativo dovrebbe porre una stretta sull’utilizzo dei voucher per quanto riguarda la comunicazione anticipata degli orari in cui verrà eseguita la prestazione. Bisognerebbe aspettare i risultati dell’applicazione di tali disposizioni per vedere se sono utili all’emersione di irregolarità;
– I controlli sui datori di lavoro che utilizzano i voucher sono eludibili e non sono adeguati;
– Nemmeno Boeri ha detto che i voucher vanno aboliti di punto in bianco!

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PNR