Il Sole 24 ore, 6 marzo 2017
Le informazioni hanno un valore economico? Sì. Raccogliendo e mettendo in relazione più dati possiamo infatti creare le condizioni per ricavarne un vantaggio commerciale, competitivo e strategico. Il confronto geopolitico tra le potenze internazionali, la competizione globale tra imprese (non solo di grandi dimensioni), ma anche i fatti di cronaca nazionale legati al cyber spionaggio, così come l’ evoluzione tecnologica e in particolare l’economia dei Big Data, ci confermano che l’accesso e il controllo dell’informazione è fondamentale per imporsi in qualsiasi ambito economico e politico. L’ottenimento, l’elaborazione e la protezione dell’informazione devono perciò essere alla base della strategia di qualsiasi governo o impresa che vogliano conquistare la leadership nel proprio campo d’ azione.
La qualità dei dati e la tempestività con cui vi si accede sono la variabile più importante. Le modalità con cui si ottengono i dati, così come gli scopi per i quali si raccolgono sono un’altra variabile cruciale. Le informazioni possono essere infatti impiegate per finalità benevoli: anticipare le mosse dei concorrenti, evitare di investire in un paese prossimo all’instabilità economica o politica, identificare la scarsa credibilità di un possibile nuovo socio, piuttosto che le insolvenze di chi chiede un prestito. Possono però avere anche scopi ostili: il furto di segreti industriali e di informazioni riservate, o semplicemente l’ottenimento di know-how sensibile attraverso attività di spionaggio, la corruzione del personale o addirittura la sottrazione di figure qualificate.
La lotta per l’informazione non è limitata ai grandi gruppi industriali o ai governi più forti. Nella società dell’informazione, dove la conoscenza e i dati sono la materia prima di molte professioni, è necessario coinvolgere tutte quelle imprese, anche di piccole dimensioni, e quei professionisti che producono valore attraverso il know-how.
Il Global Fraud & Risk Report pubblicato da Kroll dimostra però che l’attenzione al valore economico dell’informazione è generalmente molto scarsa. Lo è ancora di più nel nostro paese. Siamo ossessionati dalla privacy, cioè dalla tutela del dato personale, o almeno lo sono il legislatore e le associazioni dei consumatori. Siamo invece poco inclini ad attribuire un valore economico al dato. Non li cerchiamo, non li mettiamo in relazione per ricavarne informazione – intelligence – e finiamo anche per proteggerli poco – security e cyber-security.
Le nostre imprese sono obbligate a proteggere l’aspetto personalistico dei dati, come prevedono le buone regole elaborate in questi anni, ma faticano a comprenderne il valore strategico, sia nell’ attività di intelligence sia in quella di sicurezza. Conoscere in anticipo le mosse dei propri concorrenti è tanto vitale quanto evitare di perdere il proprio know-how. La nostra è un’economia di tante piccole e medie imprese che avrebbero bisogno di un’attività accurata di intelligence, già solo per anticipare gli scenari del mercato e operare strategicamente. Finalmente, seppure lentamente, le nostre istituzioni stanno maturando la consapevolezza che intelligence e security sono un fattore determinante per la solidità economica e geopolitica del nostro Paese.
Si tratta ora di trasferire questa consapevolezza al resto dei cittadini, alle imprese così come ai singoli professionisti che caratterizzano sempre di più l’economia contemporanea del lavoro agile e dell’automazione. Negli Stati Uniti il Presidente non dispone di alcun dispositivo di comunicazione personale proprio per evitare intrusioni. Le aziende strategiche americane non possono servirsi di infrastrutture made in Cina, e viceversa per la controparte cinese. Le multinazionali hanno spesso le risorse e la cultura per raccogliere e proteggere l’informazione. Le partite Iva del lavoro agile e le Pmi non ancora. Sui dati, in qualsiasi formato analogico o digitale siano, si può costruire un vantaggio competitivo. Dobbiamo imparare a rintracciarli, elaborarli e soprattutto proteggerli.