La Stampa, 6 aprile 2017
La conoscenza scientifica dei fatti ha portato nei secoli alla nascita della società dell’informazione. Eppure oggi questa società fa contare sempre meno i fatti e i risultati della scienza, e fa sempre più guidare le scelte dei cittadini dai pregiudizi e dalle emozioni. E’ stata definita l’epoca della post-verità, in riferimento al suo distacco dai fatti reali.
Noi siamo preoccupati!!!
Perché il crescente condizionamento delle decisioni dei cittadini attraverso l’emotività e i pregiudizi rischia di limitare le nostre libertà e ridurre il nostro benessere. Specie oggi che la società dipende dai diversi cittadini molto più che nel passato. Non è certamente la maggiore sovranità dei cittadini a preoccuparci. Ciò che allarma è che i cittadini decidono sempre più assumendo per vere informazioni che non lo sono: basta che corrispondano alla personale visione del mondo.
Non analizzano i fatti secondo il metodo sperimentale della scienza ma si aggrappano alle informazioni che interessano loro senza discuterle, quasi per rafforzare la propria identità. Viceversa l’esperienza storica prova che chiudere la mente alle reali condizioni del mondo peggiora sempre i rapporti del convivere nella diversità e porta al regresso di libertà e di benessere.
Perché ancora avviene?
Perché risorge l’interesse per l’utopia che rassicura. Si dimentica il metodo critico alla base della crescente conoscenza scientifica e si preferisce tornare all’epoca oligarchica degli stregoni onniscenti. Si regredisce all’antica abitudine di negare l’incertezza del tempo che passa e di aspirare alla «verità ultima» preferita, piuttosto che impegnarsi a ricercare senza pause, usando il riscontro dei fatti, la comprensione della realtà che muta, le condizioni della libertà e della maggiore prosperità.
Troppi cittadini sono avari quanto a metodo sperimentale.
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