Alitalia rischia di nuovo il fallimento. Nel corso dello scorso anno ha perso quasi un milione di euro al giorno e ad oggi non ha praticamente terminato la liquidità per acquistare il carburante necessario a far volare i suoi aerei. Domenica scorsa la maggioranza dei suoi dipendenti ha votato No ad un referendum in cui si chiedeva di approvare un piano di tagli ed esuberi che avrebbe aiutato il rilancio della compagnia.
Senza un piano industriale approvato dai dipendenti, le banche – che negli ultimi anni hanno perso circa 500 milioni di euro investiti nella compagnia – hanno rifiutato di concedere nuovi finanziamenti e Alitalia ha avviato le pratiche per richiedere il commissariamento, cioè la nomina da parte del governo di amministratori che possano traghettare la società verso il prossimo passo della sua travagliata storia: la vendita a un’altra compagnia oppure il fallimento, con vendita dei beni per ripagare i creditori.
La crisi che ha portato al referendum tra i dipendenti è diventata pubblica lo scorso dicembre, quando i giornali iniziarono a parlare dei circa 400 milioni di perdite accumulati nel corso del 2016. Le sue radici, però, sono molto più lontane. La crisi deriva da scelte sbagliate da oltre 20 anni e non sarà facile da invertire. In particolare, la scelta errata portata avanti negli ultimi anni è stata puntare su tratte a breve e media percorrenza: rotte nazionali, come la Roma-Milano, ed europee, che oggi costituiscono circa l’80 per cento dei voli Alitalia. Sono tratte in cui le compagnie aeree sono sottoposte non solo alla concorrenza dei treni ad alta velocità, ma soprattutto a quella delle compagnie low cost come Ryanair, che con 130 milioni di passeggeri trasportati ogni anno è diventata la più grande compagnia aerea europea.