La Stampa, 19 luglio 2017
La Cina comanderà la globalizzazione diventando il centro degli scambi commerciali e probabilmente culturali e sociali. Ne siamo ormai tutti consapevoli.
Resta tuttavia da capire come un Paese di un miliardo e trecento milioni di persone che resta in larga parte fondato su strutture sociali contadine e feudali potrà guidare il processo di globalizzazione. Come un assetto economico che trae ancora molto vantaggio dalla manodopera a basso costo potrà diventare la guida per tutti gli altri? Diventando un Paese di innovatori. Questo è l’obiettivo del governo di Pechino.
Al programma One Belt One Road con il 2017 la Cina ha avviato l’implementazione di un piano per l’innovazione che punta al 2050. Avete letto bene, 2050, più di 30 anni di politiche e azioni per traghettare la Cina dal modello del lavoro a basso prezzo a quello delle conoscenze e della tecnologia. Per comandare la globalizzazione i cinesi devono produrre e condividere innovazione (2020), assumere la leadership globale (2030), e diventare il primo Paese al mondo (2050).
Visione e obiettivi molto chiari. Da imitatori a innovatori, è questo il mantra per i prossimi mesi che Pechino sta diffondendo per tutto il Paese, cittadino per cittadino, nessuno escluso con la determinazione tipicamente orientale di chi deve portare a compimento la propria missione. Il piano per l’innovazione è impressionante per la complessità, e soprattutto per la tabella di marcia: in trent’anni quello che in Occidente abbiamo costruito in due secoli dalla rivoluzione industriale a quella del digitale.
Il modello per produrre innovazione non è molto diverso da quello dei paesi del Nord Europa che, stando ai numeri e alle varie classifiche internazionali, sono veri motori dell’innovazione. I modelli sono per natura rigidi, e di conseguenza faticano in un contesto di singolarità tecnologica, cioè di rapidi cambiamenti.
Per questo Pechino è in grado di trasformare il proprio piano all’evenienza e di rimodulare la propria azione a seconda delle necessità. Il Piano per l’innovazione è il prodotto di pensatori e agenzie governative che per anni hanno individuato problemi e sfide, elaborato le idee e la visione per mettere il Governo centrale nelle condizioni di stabilire la strategia e le azioni da intraprendere.
Il piano viene condiviso verticalmente attraverso l’apparato coinvolgendo università e centri di ricerca, i diversi livelli dei governi locali e tutti i cluster presenti sul territorio. Ciascuno di questi opera orizzontalmente integrando il proprio operato con quello degli altri. Così come per la globalizzazione, anche per l’innovazione si è costruita una narrativa che sta rapidamente penetrando la società costruendo la cultura dell’ innovazione. Sono gli uomini a fare l’ innovazione, la buona politica può solo favorirne l’operato.
Undici milioni di cinesi sono già tornati a casa dopo aver studiato e lavorato all’estero. Il 78% dei fondi già spesi in questa rivoluzione sono di privati. Shenzhen è già al secondo cluster al mondo per l’ innovazione (Wipo – per numero di brevetti), Pechino è settima e Shanghai diciannovesima. Il Governo vuole riempire questa classifica con città cinesi superando le otto aree Usa. Shenzhen è la capitale di questo processo di trasformazione. Un piccolo villaggio di pescatori è diventato in meno di quarant’anni la capitale del digitale e dell’intelligenza artificiale con più di dieci milioni di potenziali innovatori. Altre città saranno leader per l’innovazione in settori precisi, come pianificato, così come altri villaggi saranno presto trasformati in città avveniristiche.
Poche settimane fa il Governo ha annunciato che adottando il modello della free zone (come per Shenzhen), nella campagna della provincia di Xiongan, sorgerà una nuova città proiettata all’innovazione e che ospiterà anche alcuni pezzi della burocrazia che Pechino vorrebbe decentralizzare. Il progetto è a sua volta parte di un piano più ampio che si integra con quello dell’ innovazione e della globalizzazione: trasformare la Cina in una nazione pienamente sostenibile. In questo programma di trasformazione che è solo agli inizi ci sono molte opportunità anche per noi europei. Condividiamole.