di Pietro Paganini per Tempi.it
19 agosto 2017
Sabato e domenica si celebra la giornata dell’orango. Ci auguriamo che possa essere l’occasione per discutere con ragione e razionalità delle cause che stanno conducendo questo primate all’estinzione. Abbiamo invece paura che sarà la solita occasione per accusare il processo di deforestazione – ad opera delle multinazionali – e quindi le piantagioni di olio di palma.
Celebreremo anche noi l’orango così come ogni giorno cerchiamo di rispettare con grande dignità tutte le specie viventi di questo nostro pianeta.
Chi sono i veri nemici dell’orango? Sono gli stessi ambientalisti che si ritroveranno allo zoo di Roma così come in tutti gli zoo del mondo per celebrarlo.
Perché sono loro? Perché affidandosi ad un’idea fissa di mondo – quella storicista ed idealista – ritengono che l’estinzione di questo grazioso primate che tanto assomiglia all’uomo, siano da imputare alle multinazionali che sfruttano la terraper coltivare grasso vegetale da vendere a poco prezzo per produrre merendine che ingrasseranno i bambini di tutto il mondo.
Preferiscono i sentimentalismi, cioè l’emotività alla ragione. O meglio, negano il metodo sperimentale per imporre la loro idea di mondo, un luogo – naturalmente utopico – in cui dovremmo essere tutti uguali e felici, in pace ed armonia con l’ambiente che ci circonda. Tutti, si intende i miliardi che siamo. Si intendono anche tutte le specie animali e vegetali. Questi credono che il mondo esista da sempre così come è, e che noi siamo i progettisti e i protagonisti che tutto possono. È la rivisitazione ambientalista della più nota affermazione che possiamo ricondurre al pensiero orwelliano “la legge è uguale per tutti ma per qualcuno lo è di più”.
Purtroppo per loro, e per noi, non è così. Non neghiamo che sarebbe davvero bello se potessimo vivere così, in un mondo perfetto che discende direttamente dalle nostre idee. Peccato che non sia così e che non sia possibile. Non solo saremmo presuntuosi a crederci, saremmo anche sciocchi. Qui su questo pianeta, noi uomini, così come le specie animali e vegetali, siamo insignificanti. Ci siamo da poco, rispetto alla storia della sola terra – non parliamo nemmeno di quella dell’universo – e ci staremo ancora per molto poco rispetto a quello che sarà il futuro del nostro pianeta. Prima, dopo, e durante il nostro passaggio, ci sono state specie animali, vegetali, e chissà quante altre che ignoriamo, che si sono estinte per varie ragioni, riconducibili alla stessa natura della terra e alla sua evoluzione, non certamente all’uomo.
L’uomo è forse l’unica specie o forma di intelligenza che ha, almeno su questo pianeta, elaborato la consapevolezza che le specie vanno e vengono per una serie di variabili. Studia queste variabili e prova a modificarle. Lo fa grazie alla scienza e al metodo sperimentale e quindi alla conoscenza che elabora e tramanda. Il provare a modificare queste variabili non significa ancora che siamo i protagonisti di questo pianeta. Al contrario.
L’uomo ha tagliato alberi da sempre, appena ha imparato che bruciandoli avrebbe prodotto calore e si sarebbe garantito maggiore sicurezza, e che tagliandoli avrebbe potuto impiegare il suolo diversamente. Ha imparato anche che l’ecosistema delle foreste è una delle variabili per equilibrio dell’atmosfera che serve a noi umani, cioè quella che c’è da quando siamo comparsi noi o che comunque si è poco modificata. E’ nostro interesse mantenerla così per vivere più a lungo ma non è detto che ci riusciamo. Ma è anche interesse degli essere umani quello di coltivare la terra per procurarsi risorse alimentari.
Scopriamo così che oggi si deforesta molto meno di quanto si è fatto in passato. Che i paesi che accusiamo di tagliare più alberi sono quelli che hanno più foresta pro capite e che in molti casi tagliano di meno. Scopriremmo anche che chi taglia lo fa per piantare altre specie vegetali che gli consentono di produrre più efficacemente ed efficientemente. In altre parole, si piantano palme perché sono più produttive e quindi sostenibili di altre piantagioni.
Boicottare l’olio di palma è quindi stupido. Se negassimo di piantare palme, i milioni di contadini del Sud-Est asiatico coltiverebbero altre colture molto meno sostenibili, e perciò avrebbero bisogno di più terra e di tagliare più alberi. E chi ci sta su alcuni di questi alberi? L’orango.
Chi va allo zoo questo weekend dovrebbe celebrare le piantagioni di palme insieme all’orango. Se non ci fossero le palme ci sarebbe ancora meno foresta.
Smontato l’assunto che le palme sono la causa dell’estinzione degli oranghi, i nostri idealisti che vorrebbero un mondo perfetto, ci hanno segnalato che non si dovrebbe proprio piantare nulla e quindi nemmeno le palme. Non c’è bisogno di coltivare. Si possono creare piccoli orti con animali da cortile che non impattano sull’ecosistema delle foreste. Ma davvero? Il piccolo orto con la gallina può essere certamente gestito sul terrazzo di un condominio molto lussuoso nel centro di Manhattan, di Parigi o Roma, da uno dei nostri amici degli oranghi (con guanti, grembiulino e concime bio). Ma possono 250 milioni di indonesiani mantenersi con agricoltura di sussistenza ed ecoturismo? Secondo molti queste affermazioni dei nostri non andrebbero nemmeno considerate. Credo invece che tutte le idee e le proposte debbano essere ascoltate e confutate. In questo caso la risposta è molto semplice.
Premesso così che ci interessa conservare le foreste, e sapendo che la deforestazione non dipende principalmente dall’olio di palma ma semmai dagli allevamenti, continueremo a lavorare per conservarle con metodo sperimentale. La soluzione migliore oggi, dati tutti i fattori, incluso quello di consentire alle popolazioni locali di produrre reddito, è quella di coltivare piantagioni di palma che seguono schemi di sostenibilità. Nel frattempo la scienza si sta impegnando a trovare strade alternative. La scienza appunto, cioè quel metodo che guarda alle cose per come sono e non per come si vorrebbe che fossero.
W gli oranghi, W l’olio di palma.