di Benedetta Fiani
“Gli smartphone hanno distrutto una generazione?”. Con questa domanda provocatoria, la psicologa americana Jean M. Twenge apre un articolo, molto lungo e complesso scritto per l’Atlantic, in cui analizza l’uso e le conseguenze degli smartphone e dei social network da parte degli adolescenti.
L’articolo anticipa di qualche settimana il libro “iGen. Perché i bambini di oggi, iperconnessi, stanno crescendo meno ribelli, più tolleranti, meno felici – e completamente impreparati per l’età adulta – e cosa significa tutto questo per noi”.
L’autrice fotografa il 2012 come l’anno zero di una serie di forti cambiamenti socio-psicologici riscontrabili negli adolescenti americani – ma pressoché assimilabili a tutti i giovani nati e cresciute in città occidentali – per cui questi starebbero vivendo una delle più profonde crisi mentali degli ultimi decenni, tutto a causa di un massiccio utilizzo degli smartphone. Ma perché il 2012? Perché in quell’anno la percentuale di statunitensi che aveva uno smartphone superò il 50%. A chi è nato tra il 1995 e il 2012, la Twenge ha dato un nome: iGen, cioè gli adolescenti che sono nati possedendo uno smartphone, che hanno un account Facebook prima di iniziare le supeirori e che non hanno memoria di un mondo senza internet.
Intuizione geniale o scoperta dell’acqua calda? C’è da dire che la comunità scientifica, almeno dagli anni ’80, quindi ben prima dell’avvento di iPad e IG, si interroga sulla diffusione dei disturbi mentali in adolescenza, evidenziandone una preoccupante crescita. Circa l’origine dei disturbi mentali nei bambini e negli adolescenti, le nuove tecnologie possono aver di certo contribuito in qualche modo, ma non possono venire ignorati altri fattori di tipo biologico, ambientale e/o familiare. Se il benessere psicologico dei più giovani è maggiormente precario avrà la sua buona componente di “colpa” l’incertezza per il futuro, la povertà, la crisi economia, la rivoluzione dei modelli familiari ed educativi.
Nel suo articolo, la Twenge intravede una correlazione tra l’uso delle nuove tecnologie e i disturbi mentali: una correlazione però non implica un’associazione. Perché se è vero che un utilizzo più intensivo degli smartphone può contribuire all’incremento dei disturbi mentali, può essere altrettanto vero che individui con difficoltà emotiva scelgano di rifugiarsi nell’utilizzo disfunzionale delle nuove tecnologie.
Il report Social media, Social life del 2012 pubblicato da Common Sense Media, afferma l’esatto opposto. Lo smartphone e i social network hanno avuto un’influenza positiva sui giovani a rischio, facendoli sentire meno soli. Quindi accogliamo con le pinze affermazioni del tenore: “Ogni attività su uno schermo è associata ad una minore felicità, mentre tutte quelle che non prevedono uno schermo sono associate ad una maggiore felicità”.
Se la ricerca della psicologa americana ha il merito di portare all’attenzione dei più le crescenti difficoltà psicologiche degli adolescenti, ha d’altra parte il difetto deresponsabilizzare altri atteggiamenti: attribuire ogni colpa allo smartphone potrebbe indurre un genitore o un insegnate a smettere di chiedersi chi è, che esempio sta dando, che mondo si desidera lasciare ai propri ragazzi.
La strada suggerita dalla Twenge – togliere gli smartphone ai propri figli e suggerire loro di tornare nel 1985 – è ridicola ed impossibile. Tuttavia non può essere praticabile nemmeno l’opzione del lasciar fare. Trovare una terza soluzione sembra fondamentale e può avere il merito di ampliare le ricerche per avere una maggiore conoscenza dei dati e dei fenomeni, e soprattutto, parlare con i nostri ragazzi.