Il futuro dell’Unione Europea dipende in gran parte dal futuro dei sui 94 milioni di giovani e dalle loro prospettive occupazionali così duramente colpite dalla recente crisi economica. Nonostante negli ultimi due anni la situazione sia lievemente migliorata, secondo gli ultimi dati Eurostat nel 2015 a livello europeo i cosiddetti Neet, cioè i ragazzi che non lavorano, non vanno a scuola, né seguono corsi di formazione, erano circa 14 milioni, il 15% del totale della popolazione giovanile di età 15-29.
Inoltre, in Paesi come l’Italia la crisi si è accompagnata a problemi strutturali già notevolmente complessi. Infatti il nostro è il Paese che registra il più alto tasso di precoce abbandono scolastico: il 15% non va oltre la terza media, contro l’11% della media europea, mentre il tasso di occupazione dei laureati tra i 25 e i 34 anni, pari al 62%, è inferiore di 20 punti alla media nel mondo sviluppato (Dati Fondazione Toniolo- Rapporto Giovani 2016). Con più di 2 milioni di giovani Neet, l’Italia può tristemente fregiarsi del record della popolazione Neet più grande d’Europa.
Quanto costano, questi numeri, all’Unione Europea? Secondo le nostre stime, che prendono solo in considerazione la mancata produttività e contributi allo stato sociale, la perdita economica dovuta alla non-partecipazione dei Neet al mercato del lavoro è di oltre 140 miliardi di euro, pari al 1,2% del Prodotto interno lordo europeo.
All’Italia, invece, l’incapacità di integrare i Neet nel mercato del lavoro costa la perdita di oltre 35 miliardi di euro, la più elevata d’Europa. Rimanere intrappolati fuori dal mercato del lavoro e dell’istruzione per periodi così prolungati ha delle conseguenze deterioranti:
– Sotto-occupazione;
– Disoccupazione cronica;
– Esclusione sociale;
– Disaffezione politica.
Nella fase attuale, per fare in modo che si fermi la crescita dei giovani inattivi, è necessario focalizzarsi sui giovanissimi, orientandoli al sapere professionalizzante, indirizzarli in questo percorso facendo di tutto per favorire l’alternanza scuola-lavoro.
È esattamente questo il punto dolente dell’istruzione nostrana: manca di attrattività e non rispecchia mai le trasformazioni sociali del Paese, come hanno giustamente scritto Pietro Paganini e Stefano Cianciotta nel loro saggio “Allenarsi per il futuro”. Se non si inverte questa tendenza si finirà con il depauperare di forza lavoro le imprese, puntando invece a gremire il fiacco e scontento esercito dei Neet.