di Lucrezia Vaccarella
L’editorialista: Bret Stephens, punta di diamante del giornalismo mondiale, premio Pulitzer 2013.
Dove: New York Times, il giornale per antonomasia, per intenderci quello di Clark Kent – e se non sapete chi vi spedisco direttamente su Kripton.
Poi ho letto l’articolo, pronta ad assimilarne le parole ed certa di prestare totale adesione al testo.
Non è stato così: la lucidità e la chiarezza espositiva non sono riuscite a togliermi quel retrogusto d’insoddisfazione e di aspettativa tradita di cui, sino a poco fa, non avevo afferrato le ragioni. Ora ne ho chiara più d’una.
Trovo la prima, da cui sfuggivo, inorridita dal mio stesso pensiero, nella percentuale, più o meno alta, di ovvietà dell’argomentare che la bella scrittura non è in grado di elidere.
Non da ora, ma da epoche ben più lontane, il pensiero critico, dissenziente e indipendente non mi pare abbia avuto “ folle “ di sostenitori e di assertori, a cospetto della dittatura, più o meno manifesta del “pensiero unico” definizione, quest’ultima, suggeritami da nomi, più o meno illustri, del circuito dell’informazione.
Un esempio, su tanti, che nessuno ignora: Galileo Galilei.
Ho la sensazione che il recente passato e, per una buona parte del mondo, neppure il presente, non siano riusciti ad insufflare aneliti di vitalità all’approccio interpersonale, dialettico e consapevole, di cui l’autore preconizza il decesso.
Mentre non è mai morto nel tempo, piuttosto ha assunto tonalità o sfumature differenti, il disaccordo di razza, di fede politica e/o religiosa , di sesso, di classe., incapace di riconoscere e comprendere altro da sé.
Al contrario, Stephens sostiene che “per non essere d’accordo bene devi prima capire bene. Devi leggere profondamente, ascoltare attentamente, guardare da vicino. Devi concedere al tuo avversario il rispetto morale; dargli il bene intellettuale del dubbio; avere simpatia per i suoi motivi e partecipare empaticamente alla sua linea di ragionamento. E devi dare ingresso alla possibilità che tu possa ancora essere persuaso di quello che ha da dire”.
Insomma un mix di Socrate e Gesù sfrondato dal sarcasmo del primo e dall’abnegazione del secondo, per giungere, nel mezzo, ad un virtuosismo di stampo aristotelico.
Per quanto, quello descritto, possa rappresentare l’approdo ideale nelle relazioni interpersonali, leggendo il testo, non riesco a liberarmi dalla sensazione di trovarmi di fronte al prodotto di un puro sforzo eristico.
Come possa tutta quell’umanità, avvezza all’invettiva ed alla violenza, incapace di ascoltare e comprendere il proprio antagonista e meno che mai di correre il rischio di condividerne il punto di vista, ambire a così alto livello di confronto ..resta una quesito irrisolto..
Trovo alquanto inimmaginabile, di contro, che la scuola e le pubbliche istituzioni, anch’esse, troppo spesso, asservite a logiche di potere, possano compiere un tale miracolo: quando tutti sappiamo che gli insegnanti sono sottopagati, gli edifici mal costruiti, e i programmi mal congegnati.
L’ignoranza o, meglio, la sottrazione di conoscenza sono e restano strumenti di controllo su larga parte degli esseri umani che, per loro fortuna, il più delle volte non se ne avvedono.
Il Libero pensiero, la cultura, la conoscenza, restano appannaggio di pochi eletti, spesso arroccati, come Saturno nelle loro torri d’avorio. Ma forse non sanno che mitologicamente, Saturno simboleggia il limite e la costrizione.
Pensate ancora che l’arte del dissenso stia morendo? E’ davvero mai esistita.. l’arte del dissenso?