di Raffaello Morelli
Il disaccordo tra i cittadini che non rispetta le norme costituzionali della libera convivenza, spinge alla frammentazione civile irragionevole, la quale agevola il rinforzarsi del populismo. Che è l’ansia di cambiare non all’insegna della libertà del disaccordo ma rifiutando tutte le istituzioni della libertà – le persone e gli strumenti – nella vana illusione che dichiarare l’intento di esser liberi e di voler migliorare il modo di governare, basti a realizzarli, anche a prescindere dall’avere progetti operativi definiti e coerenti per arrivarci.
In Italia il populismo è purtroppo radicato nella società. Una volta era con il giustizialismo, più di recente con le versioni parolaie rappresentate in parlamento dalla Lega e dal M5S e diffusamente con la mentalità corrente nei giornali. Basti vedere il modo di presentare il referendum catalano. Concentrato sull’ingigantire le tensioni in strada e sul cosiddetto scandalo del divieto di Madrid ai catalani di esprimere la loro volontà. Si è quasi del tutto omesso di illustrare le chiare ragioni del dissenso tra il Governo di Madrid e quello di Barcellona, che vertono da tempo sul rispetto della struttura costituzionale spagnola. Un’omissione non casuale. Per i giornalisti non contano le strutture della libertà nel convivere, conta non chi propone ma chi grida di più, nel caso i manifestanti catalani indipendentisti.
In poche parole, diffondono l’idea la libertà sia assenza di regole e un diritto dovuto ai cittadini uniti in un sogno. Eppure la Corte Costituzionale spagnola dal 2010 ha ripetutamente bocciato per incostituzionalità le aspirazioni separatiste della Catalogna e di nuovo poche settimane fa ha dichiarato incostituzionale il referendum voluto da Barcellona (per questo, alla fine, il re Felipe ha definito sleale il comportamento di Barcellona).
I giornalisti non vogliono intendere che la libertà civile non è un diritto dovuto, lo sarebbe solo nel clima irenico del tutti uguali e buoni, che non può esistere. La libertà civile è una costruzione umana che va edificandosi da alcuni secoli utilizzando meccanismi sempre più definiti, tra i quali, più di recente, si è iniziato ad introdurre anche il principio del disaccordo, un principio rilevante ma che funziona esclusivamente se il conflitto resta nelle regole. Eppure i giornali non hanno condannato la violazione intenzionale e totale delle norme di convivenza della costituzione spagnola da parte del Governo di Barcellona. Tutti a strapparsi le vesti per gli episodi di violenza verificatisi (attribuiti solo a Madrid) e non uno a rimarcare che, se c’è stata una cosa straordinaria, è semmai che i due contendenti finora non hanno fatto ricorso a forme di violenza estreme.
E poi il diluvio di critiche piovute sulla UE per ciò che è stato bollato come il silenzio assordante sulla vicenda. A parte servizi in video professionalmente adatti a telecronisti di eventi sportivi, lo evidenzia quanto hanno scritto anche diversi esperti di questioni internazionali ed europee del più equilibrato (di solito) quotidiano italiano. “Le pressioni secessioniste e indipendentistiche non hanno nulla d’irresistibile: sono gestibili e contenibili, se affrontate con la politica – Scozia e Quebec docent” oppure “Dall’Ue ci sarebbe da aspettarsi di meglio; per rispetto di democrazia sostanziale e per lungimiranza strategica”. Oppure “anche gli eurodeputati hanno capito che non si può più girare la testa dall’altra parte”. Queste persone scrivono confondendo cose non paragonabili. Infatti in Inghilterra e Canadà le norme non vietano per niente i referendum sull’indipendenza, ecco perché i referendum sono stati fatti in Scozia e in Quebec e nel merito sono in corso trattative da anni. Ma questi giornalisti continuano imperterriti ad agitarsi sostenendo il valore assoluto del voto referendario anche dopo che l’UE ha dichiarato che il referendum catalano è incostituzionale e che se “un giorno dovesse esserci un referendum in linea con la Costituzione, una Catalogna indipendente finirebbe fuori della UE”.
Quello che sfugge a chi da le notizie in questo modo, è che votare in quanto cittadini non è mai un moto dell’anima, al pari di cantare, amare, mangiare o bere, è prendere parte ad una procedura prestabilita per convivere. Il punto ineludibile è che il voto per scegliere l’indipendenza non è consentito dalla Costituzione Spagnola e dunque il disaccordo non può esprimersi utilizzando il mezzo referendario. E’ del tutto lecito essere in disaccordo nel mantenere unita la Spagna e puntare all’indipendenza della Catalogna. Non può invece rientrare in una procedura di libertà l’obiettivo confermato di continuo dal Governo di Barcellona di ottenerla con un referendum incostituzionale (“il nostro referendum non è consultivo”) e annunciando di volerla proclamare unilateralmente il 9 ottobre.
E quando quello stesso mondo giornalistico pontifica dicendo che la questione catalana è un problema europeo, dimostra solo di pensare all’UE come la solita aggregazione di potere che tutto decide nei suoi territori e non all’UE come ad un qualcosa che, per la prima volta nella storia, agisce in base alle regole di relazione, non di potere (e perciò si è dimostrata forte nel non dare risposte su temi non di sua competenza). Analogamente, la mediazione UE richiesta dal Governo di Barcellona, è concettualmente patetica, dato che se vuoi l’indipendenza non devi subito cercare l’ala protettiva della mamma. Il disaccordo ha il pieno diritto di esistenza nei sistemi liberi ma non può uscire dal rispetto delle regole, altrimenti regredisce all’epoca dell’uso della forza fisica come argomento dirimente dei contrasti pubblici.
Sgombrato il campo dalle confuse contraddizioni sul come usare il disaccordo nell’ambito della libertà, allora e solo allora, si può legittimamente discutere se il governo di Mariano Rajoy abbia gestito politicamente al meglio tutti gli ultimi mesi. Quando, nel mentre teneva giustamente il punto sulle regole, non si è preoccupato di trovare il modo politico per favorire lo spostarsi delle spinte separatiste lungo sentieri compatibili con i criteri della libertà tra cittadini diversi.
Il fatto è che l’azione politica liberale per dare l‘opportuno rilievo al disaccordo nei processi decisionali pubblici, trova forti ostacoli non tanto in chi non condivide esplicitamente questa tesi, quanto nel mondo mediatico. Un mondo che al giorno d’oggi è invasato dalla logica di twitter, dei social network e dei selfie, e riduce la politica (forse persino più del voluto) ad immagini e sogni, iperboli e sfide. Però il lavorare davvero al migliorare la convivenza dei cittadini richiede di agire su tutta un’altra lunghezza d’onda.