di Raffaello Morelli
Nella storia, la cultura umana è stata sempre dominata dall’immaginare, dal sognare e dall’elaborare mentale (per via naturale o chimica) ritenute la via di fuga dai vincoli del mondo. Solo che l’esperienza ha mostrato un dato preciso sempre più chiaramente. Fuggire dal mondo è un’illusione che rende impossibile conoscerlo, non conoscerlo degrada le condizioni di abitarlo e tale degrado rende peggiore la nostra esistenza, siccome non esiste altro mondo vivibile.
Insieme ad una simile consapevolezza è cresciuta quella di doversi rassegnare al restare nel mondo utilizzandolo come possibile. E ci si riusciva quanto meglio si conoscevano la superfice terrestre, le sue viscere, i suoi meccanismi e quelli dell’atmosfera che tutto avvolge. Ciò ha portato al dare il massimo rilievo agli sforzi per scoprire la realtà che ci circonda.
Al giorno d’oggi il senso della scoperta e l’ansia per arrivarci sono una componente essenziale del nostro modo di esistere. Che sta sgretolando il vecchio paradigma del concepire la scoperta quale mezzo per arrivare a modelli del mondo statici e compiuti. Lo sviluppo sperimentale, nel tempo, della conoscenza scientifica e della connessa tecnologia hanno reso ineludibile il principio che ogni traguardo conoscitivo è solo in parte (e non si sa quale) un traguardo finale, dal momento che per altri versi il traguardo si dimostrerà provvisorio a seguito dei passi avanti della scienza.
Peraltro, non si placa l’antico approccio consistente nell’assumere come realtà del mondo l’immaginare e l’elaborare mentale. Tenta di riproporsi propagandando l’equivalenza tra il concetto di scoperta e quello di invenzione, perché quest’ultimo pare introdurre qualcosa prima inesistente, frutto della mente e delle emozioni da essa elaborate. In altre parole, attraverso il concetto di invenzione, l’antico approccio tenta di eludere il senso dello scoprire e di riproporre il distacco dai fatti del mondo. Infatti, l’elaborazione della mente può avvenire sulla base dei fatti reali o muovendo dalla pura immaginazione. Ma in ambo i casi l’elaborazione dei fatti reali che proceda rifiutandosi di sottoporre l’elaborato alla prova sperimentale, finisce per perdere ogni connessione con il reale. E così cessa di essere conoscenza scientifica del mondo.
In sostanza, scoprire e conoscere sono astrarre osservando il reale, elaborare mentalmente e verificare l’astrazione dal reale – cioè sperimentare prima e dopo – mentre teorizzare riduce l’elaborazione mentale ad un esercizio disgiunto prima e dopo dal rapporto con il reale. Al più lo idealizza secondo le concezioni e le emozioni di chi teorizza. Un’invenzione non è una scoperta vera e propria. Sia che riguardi singoli individui oppure stili di vita di molti, è solo un processo mentale capace di creare uno strumento che utilizza i meccanismi esistenti nel mondo reale e già scoperti, per svolgere nuove funzioni operative variamente utili alla nostra vita. Quindi l’inventare, applicando la scoperta, si ricollega alla realtà dei fatti. Altrimenti è immaginazione.
L’immaginazione è sempre pura teoria. Soddisfa l’emotività dei singoli, pochi o tanti, ed essendo l’emotività parte dell’individuo, può dar beneficio e soddisfazione nel vivere. Ad esempio tutte le espressioni artistiche di ogni tipo sono immaginazione. Ma immaginare non fa compiere passi avanti diretti al conoscere il mondo fisico reale circostante. Dunque curare l’immaginazione rientra tra le attività costitutive e gratificanti della convivenza umana, ma rappresenta solo un sistema per rendere più piacevole il passar del tempo calandoci in fantasie che corrispondono ad effettive esigenze organiche di esseri umani. Ovviamente non circoscrivibili a quelle vitali e che includono anche quelle affettive, musicali, pittoriche, di gusto nelle relazioni con gli altri, che siano la sessualità, il lasciar traccia di sé, lo sport o gli usi nei rapporti sociali, tanto per fare esempi.
Però l’immaginazione non serve a governare il convivere. Anzi può essere molto dannosa se diviene il mezzo per dirigere la realtà. Ad esempio nel ‘68 gli studenti parigini gridavano l’imagination au pouvoir. Esaltarono l’immaginario ma in pratica provocarono azioni politiche rivelatesi sterili e talvolta perfino violente. Invece la scoperta/invenzione avviata proprio in quell’epoca negli Stati Uniti con il collegare tra loro gli oggetti computer ha formato in 15 anni reti materiali estese nel mondo (l’Italia fu tra i primissimi) al punto che oggi sono il mezzo principale di interrelazione dei cittadini nel globo (c’è pure chi ne fa la teoria di società incorporea; torna l’antico approccio). In sintesi l’immaginazione al governo è un pericolo perché illude e non scopre: si fonda sul distacco dai vincoli dei fatti reali.
Per organizzare il vivere civile, solamente il criterio di affidarsi alla libertà di cittadini tra loro diversi richiama nel profondo la spinta a scoprire e conoscere di continuo di più.