di Silvia Ferrara
In Europa, negli ultimi anni, ci siamo trovati a discutere i risultati di referendum e elezioni strabilianti, spesso senza discuterne i princìpi. Parliamone. Il principio di delega ad un rappresentante eletto, o un referendum a botta secca con una semplice maggioranza, sembrano strumenti arcani per delibere pubbliche, più adatti quando la comunicazione era lenta e l’informazione limitata. Oggi i cittadini interagiscono e comunicano più direttamente. Ma continuano a decidere per delega indiretta, nei meandri di scelte macchinose e sistemi mediati.
Il concetto di democrazia è storicamente arrivato a combaciare con il processo pragmatico delle elezioni. Ma l’ideale democratico che il mondo occidentale ha imparato ad amare non combacia con la realtà. Non è un caso che la fiducia nelle istituzioni, per esempio nei parlamenti nazionali e nei partiti politici in Europa, sia calata in modo esponenziale, soprattutto negli ultimi 10 anni. Abbracciamo il concetto di democrazia, ma finiamo con il disprezzare chi viene eletto.
Chi sostiene che le elezioni per delega indiretta siano una necessaria e fondamentale precondizione per stabilire un assetto democratico le mette automaticamente su un piedistallo di dottrina dogmatica, intrisa di valore assoluto e inalienabile. Chi pensa alle elezioni in occidente pensa ai partiti, alle liste, alle coalizioni, alle schede elettorali, ai candidati eletti, con i quali instauriamo un rapporto diretto solo attraverso le loro buste-paga e i bagni di folla di politici narcisi. Così le campagne elettorali e il dibattito pubblico diventano spettacoli controllati e manipolatori, teatri politici di impatto emotivo e culti della personalità.
Il sorteggio diretto sembra quasi un deterrente alla falsità della politica. Leggete Contro le Elezioni, dell’autore belga David van Reybrouck.
In questo piccolo libro, si fa una patogenesi delle elezioni, come fossero il combustibile fossile della politica. Anche se le elezioni hanno contribuito energia scoppiettante alla democrazia, un po’ come il petrolio ha fatto con l’economia, ora stanno portando grossi problemi. Il rimedio non è nuovo, anzi. Van Reybrouck propone un sistema già in vigore nell’Atene classica, o durante il Rinascimento a Venezia e Firenze. L’idea è che un numero ristretto della popolazione venga selezionato a caso con una lotteria e incaricato di analizzare un dato critico come fossero rappresentanti del totale della popolazione. A loro si affiancano gruppi rappresentativi ugualmente selezionati. Van Reybrouck non sa che la tradizione del sorteggio è davvero vecchia come il mondo.
L’anno scorso ho scoperto (e pubblicato i risultati qui) che a Cipro nel secondo millennio a.C. venivano sorteggiati individui incaricati ad attività religiose e industriali (soprattutto per le risorse di rame dell’isola, cuprum in latino significa ‘rame’, materiale prezioso per fare il bronzo- non si chiamava età del Bronzo per niente!) che avevano reso le popolazioni cipriote ricche e floride, oltre che ben organizzate. Le sferette di argilla che vedete nella foto erano iscritte con nomi di persone o ufficiali preposti alle attività suddette, e i loro nomi erano incisi in un sistema di scrittura sillabico ancora (ma forse non per molto!) indecifrato, detto ‘ciprominoico’. Il processo non era tanto diverso dal sorteggio delle squadre di calcio al Mondiale o alla Champions League.
La sorte è cieca ma l’organizzazione è meticolosamente controllata. Allora, qualcosa funzionava nell’amministrazione della politica antica, almeno nei piccoli numeri, se la partecipazione del cittadino era diretta. Il mondo è più complicato oggi, ma il desiderio e la possibilità di cambiarlo devono essere riconosciuti a tutti i singoli.