di Maria Serra
Oggi si chiama ‘partecipazione attiva dei cittadini’ e dovrebbe rappresentare il naturale e conseguente sviluppo di ciò che fino a pochi anni fa conoscevamo come ‘educazione civica’. In Italia entrambe questi strumenti sono stati oggetto di vicende alterne e la realtà è che entrambe non si sono mai completamente compiuti.
Introdotta nella scuola statale da Aldo Moro, nel 1958 l’educazione civica è diventata materia curricolare, subendo negli anni trasformazioni continue nell’intitolazione, nei contenuti e nella collocazione, fino a scomparire completamente perché affidata alla buona volontà delle maestre e dei prof di storia e diritto. Il risultato è un Paese che conosce poco e male la propria Carta Costituzionale e che fa fatica a rispettare le regole di convivenza civile, anteponendo spesso al benessere della collettività il proprio tornaconto individuale o. più semplicemente, confondendo questi due livelli per comodità di azione.
Agli inizi del XXI secolo, quando il clima di antipolitica cominciava a scaldare i motori, qualcuno e qualcosa nella società civile si muoveva portando in scena ‘il mostro’ e muovendo le fila di un nuovo mantra: quello della partecipazione attiva dei cittadini. Lodevole, se non fosse tutta una illusione.
Far credere ai cittadini che il luogo deputato allo sfogatoio possa essere lo stesso deputato alla partecipazione, è solo un’ennesima bufala di chi trae più benefici dal ‘popolo bue’ piuttosto che da cittadini informati e consapevoli dei propri diritti, ma anche dei propri doveri.
Perché laddove non c’è conoscenza, non può esistere una vera partecipazione attiva. E la ragione sta tutta nei numeri. I dati elaborati dalla piattaforma We Social nel 2017 indicano che in Italia ci sono 37,6 milioni di persone connesse a Internet, cioè il 63% della popolazione: meno di Germania (89%), Francia (86%) e Spagna (77%), le altre tre grandi economie dell’eurozona. Secondo i dati Istat, poi, al 2016 l’Italia occupa l’ultima posizione (insieme alla Romania) nella graduatoria europea, con il 37% di individui che leggono giornali, informazioni e riviste su Internet. Non va meglio nella lettura dei quotidiani cartacei: sempre secondo i dati Istat la quota di persone di 6 anni e più che hanno letto quotidiani, di carta, almeno una volta a settimana, in Italia cala di circa 15 punti percentuali nell’ultimo decennio, passando dal 58.3% del 2006, anno di picco massimo nella serie storica disponibile, all’attuale 43.9%.
E inoltre, ma solo per fare un esempio tra gli altri, non c’è partecipazione civica, tantomeno ‘attiva’, laddove esistono numeri chiusi e non esiste dialettica e confronto, come nel caso della famigerata ‘Piattaforma Rousseau’. Tanto decantata come strumento di innovazione politica, ma nei fatti un vero e proprio specchietto per le allodole e contenitore di decantazione di una certa rabbia sociale che ha trovato le sue giuste ragioni per attecchire in un Paese come il nostro che non ha saputo leggere ed interpretare tanto malumore e tanto risentimento.
Se davvero Il sistema Paese volesse considerare il cittadino quale soggetto attivo, lo si dovrebbe mettere nelle condizioni di poterlo realmente essere, per esempio reintroducendo l’insegnamento dell’educazione civica a scuola. Significherebbe dare a tutti, sin dalla giovane età, la possibilità di imparare il rispetto delle regole e di conoscere i limiti dello spazio entro il quale ognuno può esprimere e dare voce ai propri diritti. Significherebbe sostituire ‘il mostro’ con una democrazia realmente compiuta.
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