di Paolo Cirino Pomicino

La scelta dei presidenti regionali Maroni e Zaia di indire due referendum rispettivamente nella Lombardia e nel Veneto chiedendo alle popolazioni di esprimersi sulla richiesta di “maggiore autonomia nel quadro di unità nazionale” ci sembra solo l’inizio di una campagna elettorale e niente altro. E ci spieghiamo.

La costituzione vigente già oggi prevede al 3° comma dell’art. 116 che lo Stato possa dare a ciascuna regione maggiori poteri e deleghe nei settori previsti dall’art. 117 successivo per rafforzare le rispettive autonomie. La procedura necessaria ad ottenere questa maggiore autonomia dallo Stato impone:

1) la richiesta delle Regioni;

2) il parere degli enti locali della regione interessata mentre la condizione necessaria è avere i propri conti regionali in ordine.

Abbiamo citato questi riferimenti costituzionali per dire che la cosa più saggia per le giunte regionali di Lombardia e Veneto sarebbe stata la specifica richiesta al governo nazionale specificando i settori in cui si vorrebbe avere più poteri e più autonomia rispetto allo Stato centrale e chiedere l’immediata consultazione dei comuni e delle città metropolitane dei rispettivi territori.

Come si vede la nostra costituzione apprezza il valore autonomistico, tanto che, accanto alle regioni a statuto speciale esistenti sin dalla nascita dello Stato unitario, prevede che forme di maggiore autonomia possono essere date ad ogni altra regione nei limiti previsti dalla stessa normativa costituzionale. Ora mettere in moto una sorta di “sarabanda” referendaria per una cosa già prevista dal nostro ordinamento costituzionale e per la quale non è prevista alcuna consultazione popolare è un di più inutile, costoso e propagandistico. Peraltro quando si sente dire dal presidente Maroni che lui aspira ad ottenere almeno il 34% dei votanti testimonia che non gli sta a cuore la cosiddetta democrazia diretta ma soltanto una “captatio benevolentiae” di quanti, ragionando un po’ con la pancia, vorrebbero trattenere più soldi nella propria regione.

Questo obiettivo, infatti, sarà possibile ma sempre e solo collegato all’esercizio di quei poteri e di quelle deleghe che passano dallo Stato centrale alle singole regioni. Per dirla in maniera ancora più brutale la vecchia “querelle” delle regioni più ricche che vorrebbero trattenere presso di sé la maggiore quantità del gettito fiscale di quel singolo territorio come avviene nelle regioni a statuto speciale è fuori dal perimetro di quella maggiore autonomia regionale che la costituzione prevede come deroga possibile e che nella sostanza riguarda

a) l’organizzazione della giustizia limitatamente ai giudici di pace;

b) la pubblica istruzione;

c) l’ambiente, ecosistema e beni culturali.

Detto questo aggiungiamo una parola sulla “democrazia diretta”, fantasma minaccioso che ogni tanto aleggia sulle nostre già complicate istituzioni. La democrazia diretta oltre ad essere inefficiente e inadeguata nella storia dell’umanità ha sempre anticipato uno sbocco autoritario. La piazza e le sue manifestazioni sono il sale della democrazia rappresentativa ma quando esse assumono la funzione decisionale, i guasti per la democrazia arrivano a tambur battente. Altra cosa, naturalmente, è il referendum su singole questioni la cui soluzione prevede una consultazione popolare. Tutto il resto, come diceva Califano, a cominciare dai referendum lombardo veneto è solo noia, tremenda noia.

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PNR