di Ignazio Senatore
Generalmente con il verbo “procastinare” s’intende l’attitudine del singolo a “rimandare a domani” una decisione, una scelta. Come è noto, in psicoterapia, uno dei cardini della relazione terapeutica si fonda sull’alleanza con il paziente.
Spesso chi chiede aiuto, ha bisogno di un proprio tempo interno per poter esplorare eventi traumatici del passato o raccontare episodi significativi e conflittuali che hanno punteggiato negativamente la propria esistenza.
Generalmente, nei primi incontri, nel timore di non essere compreso o che possa essere giudicato e “condannato”, chi chiede aiuto mette in atto “inconsapevolmente” quello che, comunemente, sono definite “resistenze”.
È compito del terapeuta accoglierlo, ascoltarlo, contenere ansie ed angosce ed attendere, quando questi sarà in grado di prendere contatto con il proprio materiale rimosso. Esclusi i quadri che vanno inscritti all’interno di un’emergenza psichiatrica, anche la scelta dell’impiego di uno psicofarmaco dovrebbe avvenire con giudizio, non solo dopo aver ponderato la variegata e sottile complessità dei quadri psicopatologici, ma soprattutto dopo che la relazione terapeutica si sia consolidata ed abbia fornito delle garanzie sulla compliance del paziente.
È evidente che la prudenza e l’oculatezza non debba mai essere confusa con l’inerzia decisionale e che l’attitudine a “procrastinare” sine die scelte ed interventi finisce solo per svilire la relazione terapeutica, fino a svuotarla.
Ignazio Senatore è psichiatra, psicoterapeuta presso il Dipartimento di Neuroscienze dell’Università Federico II di Napoli.