di Raffaello Morelli
Il debito pubblico accumulato è enorme (sul 133% del PIL) e in crescita (45 miliardi nel ‘16, in 12 mesi +2%). Nonostante se ne parli poco e solo per lamentarsi del rigore UE, è il vero problema istituzionale all’origine del disagio socio economico. Una volta, quando l’Italia non era nell’euro e non c’era la globalizzazione pervasiva, situazioni così si curavano svalutando e facendo pagare tutti: sul subito avvertiva la stretta chi aveva meno, poi era beneficiato dalla ripresa innescata. Oggi, quelle due condizioni non ci sono più. L’enorme debito è un macigno sulla credibilità dell’Italia nei mercati (la rende vulnerabile) e produce un ammontare di interessi annui che ingoia le risorse per una politica di rilancio produttivo. Inoltre c’è la massa di contratti derivati fatti dai Governi in 20 anni per coprire i rischi sul debito (tassi e oscillazione valute), costati dal ’11 una trentina di miliardi e da domani altri 8 annui a lungo (tantissimo rispetto l’UE). Assurdo far finta di nulla.
Purtroppo, il clima è refrattario alla realtà. I cittadini sono considerati poveri sciocchi da rassicurare promettendo rapide svolte salvifiche ed elargendo prebende da 80€ (che spargono 9 miliardi su consumi non essenziali invece di usarli per spingere la crescita tagliando ¼ di contributi di lavoro). Eppure l’antica saggezza dice “il medico pietoso fa la piaga cancrenosa”. Di fatti l’UE lancia da mesi insistiti avvertimenti sul debito. Però, il Ministro dell’economia imperterrito prevede “un calo deciso del debito nel prossimo futuro, grazie alla più alta crescita del Pil nominale”.
A tal sogno – più fantasioso che ottimista – si contrappongono i fatti. Rispetto al ‘16, a settembre scorso il debito è già salito di circa 60 miliardi (dati Banca d’Italia) vale a dire più dell’aumento nel ‘16; quindi il debito è aumentato di un altro 2,67% e il rapporto debito/PIL resterebbe invariato solo se ci fosse un uguale aumento del PIL (se non un po’ superiore, per compensare l’inflazione indotta dall’aumento). Tuttavia, il governo misura l’aumento del PIL in più 1,8% e allora il calcolo indica un rapporto proiettato al 140% del PIL. Questo con tassi di interesse molto bassi negli ultimi tre anni per i massicci acquisti BCE di titoli pubblici. Acquisti che da gennaio scenderanno ancora (a 30 miliardi mensili), il che farà rialzare i tassi, dati anche i primi mesi di periodo elettorale. E dovendo pagare interessi maggiori, vi sarà una maggior spinta al debito (alimentata pure dagli oneri sui derivati).
Di fronte a questa realtà, in settimana tre diversi commissari UE (Katainen, Moscovici e Dombrovskis) hanno detto che l’Italia deve affrontare la questione del debito e che sono indispensabili sforzi maggiori nella legge di bilancio, che scavalca perfino la maggior flessibilità concessa. Non è stato rispettato l’accordo di ridurre il debito del 3% annuo per 20 anni (invece è cresciuto) e solo nel ‘18 il Governo prevede una riduzione del 1,8% . Poco, e non è detto ci riesca. Sempre in settimana l’ISTAT ha comunicato che nel ‘16 la produttività dovuta al progresso tecnico e alle migliorate conoscenza ed efficienza, è ancora diminuita (stavolta -0,4%). Inoltre nei due decenni prima, la crescita media annua della produttività del lavoro è stata dello 0,3%, molto inferiore alla media UE (1,6%). Nel complesso, un debito pubblico in crescita e una calante produttività strutturale – dovrebbe salire per spingere il PIL – sono preoccupanti.
Perciò urge mutare il tradizionale approccio del mentire ai cittadini (in Parlamento il Ministro dell’Economia non approfondisce il tema derivati che impone riservatezza). I cittadini non sono sciocchi. Sono in grado di capire che la politica non è fatta per rassicurare evocando rose e fiori. E’ fatta per risolvere i grandi problemi. Non deve più fissarsi sull’Europa, né per darle colpe non sue né per appellarsi a suoi interventi utili all’economia ma ancora da decidere (testi unici di diritto bancario, finanziario, fallimentare e penale). Intanto, dobbiamo essere noi a pensare all’Italia. Subito. E’ indispensabile rendere funzionanti i meccanismi istituzionali, riequilibrandone gli errori, gli sprechi, i privilegi alle clientele, le zone buie. Cominciando con lasciare la mentalità classista che vede tutto con gli occhiali delle lotte tra categorie (quelle sociali ma anche quelle anagrafiche) mentre il problema è far funzionare le istituzioni attraverso la libertà di esprimersi e di relazionarsi del cittadino. Se le istituzioni funzionano bene e senza privilegi, il resto lo farà l’iniziativa dei cittadini.
La montagna di debito pubblico è l’ostruzione più grave al funzionamento. Non si dissolve discettando sul di chi è stata la colpa e sulle classi di età ora favorite (derivano dalle pensioni due terzi, in crescita, del debito); un criterio sindacale che forse può redistribuire ma certo non creare nuove risorse e produrre rimedi praticabili convivendo tra diversi. Per dissolvere l’ostruzione, l’altezza della montagna va ridotta di circa un terzo, tagliando gli interessi e liberando larghe risorse per riavviare il ritmo produttivo. La strada sono sacrifici forti: delle istituzioni (partendo dalla cessione di parte consistente del patrimonio immobiliare, disboscando cavilli e lungaggini di burocrati restii) e di tutti i cittadini (con un contributo straordinario su beni mobili ed immobili, in modo che ogni cittadino dia risorse in misura diversa ma ugualmente parametrata sul valore dei suoi beni).
Questa strada sarà blindata. Il denaro raccolto con i sacrifici non rientrerà nell’amministrazione ordinaria dello Stato e costituirà un fondo gestito dal Presidente della Repubblica con cittadini da lui designati previa consultazione delle massime cariche del Parlamento e della Corte Costituzionale. Questo denaro servirà solo a pagare alla scadenza i titoli dello Stato. Così la cima della montagna si abbasserà assai (anche il rapporto debito/PIL), si irrobustirà la ripresa produttiva (altro calo del rapporto), l’Italia sarà credibile e potrà affrontare problemi chiave per la condizione dei cittadini: quali la lotta agli sprechi pubblici, la riduzione del carico impositivo con la completa riforma fiscale e un più efficace controllo sulla macchina dello Stato (vedi il rinegoziare il debito a prezzi esosi per allungarlo e abbellire il bilancio). Tagliando il debito, il cittadino vivrà meglio e più tranquillo.
Raffaello Morelli, politico e autore liberale fin dall’epoca del PLI (e tutt’ora). E’ stato dirigente nazionale di diverse associazioni liberali, ha svolto anche i ruoli di Consigliere Comunale a Livorno, Consigliere Regionale a Firenze e vice presidente della SACIS spa, redigendo migliaia di interventi e scritti politico culturali.