di Lucrezia Vaccarella
Ieri, come moltissime volte, da un numero di anni che scampoli di orgoglio femminile m’impediscono di rivelare, sono andata in Tribunale per la trattazione, in udienza, di una causa civile di cui ho il patrocinio con un collega proveniente da altro foro.
Con la disinvoltura dettata dall’esperienza e, lo dico con rammarico, senza più stupirmene, gli ho comunicato che, quasi certamente il Magistrato cui era stata assegnata, non aveva alcuna cognizione dell’oggetto della causa. Da parte sua ho avuto conferma di identica prassi vigente presso le sedi giudiziali in cui svolge ordinariamente l’attività professionale.
Pochi minuti dopo eravamo in aula davanti ad una matura signora in sovrappeso con un vistoso torchon argentato al collo, che mostrando discreta familiarità con la tastiera del pc ha iniziato a scrivere il verbale, dando atto della presenza degli avvocati e riportando le formule “ rituali” di contestazione reciproca dei rispettivi atti e “ produzioni”, soprattutto queste ultime che, rammaricandosene ad alta voce con se stessa, in un primo momento, aveva omesso di menzionare.
Poi, rivolgendosi a noi, ha esordito“ Allora di che si tratta, perché al momento non mi sovviene.. “ e dato concreto inizio all’udienza.
Come preconizzato non aveva alcuna idea dell’oggetto del contenzioso, il che tuttavia poteva anche starci perché si sarebbe riservata, come d’uso e l’avrebbe studiata dopo l’udienza per decidere se accordare o meno il provvedimento richiesto in favore del nostro assistito. Il problema vero è che, dall’atteggiamento assunto nella gestione dell’udienza ci è risultato chiaro che non aveva alcuna conoscenza della disciplina, specialistica, a valle della controversia, e, assecondando un partitura nota a chi, come me, pratica le aule di giustizia, ha assunto toni saccenti e sbrigativi per celare la propria insipienza.
All’esito dell’udienza, ovviamente, si è riservata di decidere. Mentre noi avvocati ci siamo affidati alla speranza, perché, come tutti sanno, è l’ultima a morire, il nostro cliente ci ha incalzato con le solite, ricorrenti, due domande. Com’è andata? Che impressione vi ha dato il Giudice?
Domande cui, a volte, saremmo tentati di rispondere con un eloquente “boo”, se non fosse per quella residua speranza che ancora coltiviamo e di cui non vogliamo privare il nostro cliente. Almeno fino all’adozione del provvedimento !
Ci confrontiamo ogni giorno con queste domande e, troppo spesso, con provvedimenti giudiziali di cui ci sfugge la logica, prima ancora della conformità alle norme giuridiche . E troppo spesso abbiamo difficoltà a compiere, giudizi prognostici, sia pure ad ampio respiro, sugli esiti probabili delle controversie.
Una cosa è certa: essere Avvocato oggi equivale ad una sorta di rafting per non rischiare di essere fagocitati nei gorghi delle innumerevoli regole cui dobbiamo sottostare.
Sulla nostra categoria gravano consistenti obblighi formativi la cui inosservanza da adito a sanzioni disciplinari Il periodo di valutazione dell’obbligo formativo è previsto in 3 anni, nei quali occorre accumulare 60 crediti formativi (almeno 15 all’anno), di cui nove in ordinamento/previdenza/deontologia forense.
Il rischio di commettere errori è però sempre dietro l’angolo grazie alla proliferazione incontrollata di decreti legge convertiti con modifiche, di regolamenti, circolari e linee guida. Il tutto condito dalla mutevolezza disfunzionale degli orientamenti giurisprudenziali e, ahimè, spesso dalla superficialità e dall’incompetenza dei giudicanti.
Siamo chiamati a risponderne, se non con il sangue con adeguata e, si spera, congtua polizza assicurativa. Insomma non possiamo permetterci di sbagliare , per questo dobbiamo ampliare ogni giorno le nostre conoscenze giuridiche e tecniche.
Dal mio punto di vista l’aggiornamento è un connotato intrinseco allo svolgimento dell’attività professionale. Ne va della nostra stessa sopravvivenza.. Quindi l’imposizione dall’alto di obblighi in tal senso, con quanto ne consegue in termini organizzativi e, in taluni casi, con dispendio di tempo non sempre proficuo può risultare una forzatura. ma, credo, funzionale a garanzia di un buon livello di professionalità del settore. Ma, a priori trovo indiscutibile, rispondendo ad un imperativo etico, più che giuridico abituare le nostre menti ad una sempre più intensa duttilità, ponendo quotidiana attenzione alle novità d’interesse nella professione e mantenendo curiosità elevata nei confronti della mondo reale e non solo di quello giuridico.
Ma possiamo dire lo stesso dei nostri interlocutori necessari, cui i cittadini si rivolgono, nostro tramite, perché venga fatta giustizia?
A norma dell’art. 25 del decreto legislativo n. 26/2006, “ i magistrati in servizio hanno l’obbligo di partecipare ai corsi di formazione e di aggiornamento professionale tenuti dalla Scuola superiore della Magistratura, ogni cinque anni. e che possono partecipare ad ulteriori corsi di aggiornamento solo dopo che sia trascorso un anno dalla precedente partecipazione.
Per la partecipazioni ai corsi è riconosciuto ai Magistrati un periodo di congedo retribuito. Questo il motivo per cui devono attendere almeno un anno per aggiornarsi ulteriormente.
I magistrati che non hanno sostenuto i concorsi per le funzioni di secondo grado o di legittimita’ sono sottoposti, da parte del Consiglio superiore della magistratura, a valutazioni di professionalita’ al compimento del tredicesimo, ventesimo e ventottesimo anno dall’ingresso in magistratura.
Insomma, mentre le “Grida”, termine che, in questo frangente, mi sembra consono per definire la qualità dell’attuale produzione normativa, alterano, abrogano , modificano interi sistemi dell’apparato ordinamentale, con frequenza quotidiana, i nostri Giudici hanno un congedo, pagato, ogni cinque anni per seguire corsi di aggiornamento della durata massima, badate di “ due settimane”.
Tornando alla mia piccola e insignificante udienza, rammento anche che la causa è stata affidata ad una sezione che, negli auspici, dovrebbe avere una cognizione specialistica dell’ordinamento settore cui fa capo. Si tratta di un settore che, soltanto nell’ultimo decennio, è già stato assoggettato a due operazioni di codificazione e ad innumerevoli correttivi…Il codice più recente risale all’anno scorso e, dopo una prima correzione degli errori di grammatica che vi erano stati profusi a volontà, è stato già oggetto di una profonda rivisitazione. Per parlare solo di norme primarie.
Il mio Giudice con la collana argentata forse ha partecipato ad un corso di aggiornamento, in materia non nota, negli ultimi cinque anni !! E ci ascoltava senza sapere di cosa stessimo parlando.
Potrei continuare ad oltranza sulla mia esperienza di pronunce giurisdizionali “ incommestibili”
Com’è distante questa realtà dalle parole adoperate dal CSM nella recente delibera contenente le Linee programmatiche sulla formazione e l’aggiornamento professionale dei Magistrati: “soltanto un elevato livello di professionalità diffusa dei magistrati consente all’intervento giudiziario di essere davvero indipendente ed autonomo, se autonomia significa, come deve significare, non già la possibilità di scelte arbitrarie, soggettivistiche, casuali o frutto d’ignoranza, ma consapevole e veramente autonoma scelta – autonoma perché consapevole e culturalmente fondata – tra le interpretazioni possibili della norma, del fenomeno reale, del proprio stesso ruolo. Soltanto un elevato livello di professionalità conferisce legittimazione all’intervento giudiziario, anche a quello innovativo ed a quello che afferma la difficile cultura della legalità e delle garanzie”
Come ti è sembrato il Giudice? …