di Benedetta Fiani
È difficile, se non impossibile, arrivare a fine giornata senza essersi imbattuti in qualche commento al vetriolo online. Un cumulo di astio e risentimento generalizzato tra cui fare lo slalom.
Ma da dove arriva tutto questo odio? Da internet, secondo i più. Un ricettacolo formidabile per qualsiasi nostra debolezza, un megafono sensazionale per qualsiasi nostra cattiveria. Non sono necessari numeri (per fortuna, perché non ce ne sono), non servono confronti fra Paesi (per fortuna, perché nessuno ne fa), ma sono tutti conviti che sia stato Internet ad aver avvelenato le convenzioni sociali e ad averci reso degli odiatori da laptop, pronti a sbranare l’ennesima preda.
È innegabile la correlazione lineare fra cultura di un Paese e le sue prassi di utilizzo dei mezzi di comunicazione online. Internet è un alfabeto complesso, ma è anche un luogo sociale articolato, nel quale i comportamenti si aggiustano nel tempo. Gli anglosassoni, che hanno una parola per tutto, la definiscono digital literacy e sfortunatamente non è ancora insegnata a scuola.
Allora si cerca di navigare a vista: alcuni (pochi) imparano un po’ alla volta, altri (molti, troppi) utilizzano le lettere dell’alfabeto a caso, producendo frasi mostruose. Come rimediare? Esempi noti hanno puntato alla pubblicazione di nomi e cognomi degli haters da tastiera, oppure hanno coniato neologismi 2.0 – webete -, innescando dinamiche sociali facilmente prevedibili.
E in questa ottica la neutralità di internet non potrebbe essere più eclatante. C’è spazio per la rivalsa astiosa di tutti. Eppure è evidente che l’odio di cui stiamo parlando punta solo verso una direzione: la nostra. È il nostro odio, della nostra poca cultura, dei pochi libri che leggiamo, della modesta classe dirigente che riusciamo a produrre.
Gli sproloqui di personaggi come Salvini o Grillo fanno parte del nostro linguaggio, non sono conditi da una dose maggiorata di cinismo. Un’evidenza difficilmente opinabile, ma di per sé non sufficiente, perché viviamo in un momento di passaggio nel quale l’alfabetizzazione digitale è patrimonio di pochi mentre Internet è alla mercé di tutti. Quasi trenta milioni di italiani utilizzano la Rete ogni giorno, trasformando i loro pensieri in frasi ad effetto con pochissima cognizione di causa.
Così l’odio che vediamo, leggiamo e percepiamo è il risultato di chi siamo ma anche dell’incertezza, un faticoso trasloco da un set all’altro di regole.
Abbiamo due possibilità: utilizzare internet come alibi per alimentare le nostre debolezze e amplificarne gli orrori, oppure utilizzare proprio questi spazi digitali come un’occasione per migliorarci, scommettendo su una maggiore libertà e cultura. La prima opzione è dove siamo oggi, la seconda è un appuntamento per domani.