di Silvia Ferrara
Durante l’interazione sociale, sono tre le traiettorie neuronali ad attivarsi nel cervello umano.
- La prima, definita dai neurobiologi/psicologi cognitivi come ‘mentalizing’ in cui interpretiamo le intenzioni di altri in termini di bisogni e obiettivi, di pianificazione e risoluzione di problemi.
- La seconda è l’empatia, cioè il mettersi nei panni dell’altro per accedere alle loro emozioni e anticipare i loro stati emotivi futuri. L’empatia è un po’ come un gioco strategico – tu fai questo e io capisco perché lo fai e cosa ne seguirà.
- La terza traiettoria è lo specchio, in cui l’individuo percepisce le emozioni dell’altro e ne ha esperienza diretta, in una certa misura imitandole.
I primati (per es. i babbuini) passano solo il 10% del loro tempo a comunicare secondo queste traiettorie, il resto a cercare cibo e nutrirsi. Noi uomini facciamo il contrario: c’è chi sostiene che è proprio la nostra inclinazione ad essere creature gregarie che ci ha portato ad alti livelli di intelligenza sociale: la risoluzione dei problemi, l’empatia, lo specchio sono stati la forza darwiniana trainante. Ci sono stati altri fattori, ovviamente, ma la nostra capacità di connettere con gli altri, di concepire potenziali conseguenze alle nostre azioni, e a quelle di chi abbiamo di fronte, è stata la scintilla per concepire potenziali scenari: l’infinita possibilità estensiva della nostra immaginazione è la chiave di tutto. La natura ci offre la cornice e noi, naturalmente, creiamo fiction. Creiamo cose che in natura non esistono: simboli, disegni, storie, università, governi, leggi. Tutto finto. E tutto che gira intorno allo scambio di informazioni: il narrare storie, il gossip, lo stringere alleanze, lo stabilire e scompigliare equilibri sociali.
Ma c’è ordine in tutto questo, non avviene senza uno schema preciso. Studi antropologici su cacciatori-raccoglitori moderni del deserto del Kalahari o nelle Filippine evidenziano differenze nette in come comunicano. Durante il giorno, si parla di cose pratiche, spostamenti, cibo, ma anche pettegolezzi sparsi, sulle posizioni nel gruppo, sull’aspirazione sociale, sulla competizione. Cose pratiche o molto personali, senza dar grande spazio all’immaginazione. Quando ci si riunisce di sera, dopo aver cacciato, il tono dell’interazione diventa più rilassato, le difese si abbassano. Stretti intorno al focolare, sotto la luce della luna, ci si ritrova intenti nello story-telling, nei canti e balli, nella ripetizione confortevole di riti già conosciuti. Ed è lì che la fantasia ha più spazio, il gruppo si unisce, si stringe, racconta, recita.
Allora pensate a quando siete in ufficio alla macchinetta del caffè con i colleghi, quando chiamate vostra moglie/marito per discutere di come/dove cenare, quando parlate male del vostro capo, quando leggete il libro di favole ai vostri figli per farli addormentare, quando vi incollate come una droga a Netflix, quando ballate stipati in discoteca o cantate a squarciagola a un concerto. Pensate a come, sotto-sotto, in centinaia di migliaia di anni di evoluzione, la nostra comunicazione, e i nostri schemi per metterla in atto, non sono per niente cambiati. Abbiamo inventato nuovi strumenti, ma i contenuti e i modi di comunicare, sono, da che uomo è uomo, sempre gli stessi.
Silvia Ferrara è Professore Associato di Civiltà Egee alla Sapienza, Università di Roma. Ha studiato all’University College, Londra e all’Università di Oxford, e dopo vari anni come ricercatrice in archeologia e linguistica a Oxford, ha deciso di tornare in Italia con il rientro dei cervelli intitolato a Rita Levi Montalcini.