di Maria Serra
Ricordate solo fino a una quindicina di anni fa, quanto tempo passavamo al telefono per avere gli orari di apertura al pubblico di un ufficio? O quanti chilometri dovevamo percorrere per andare a ritirare un certo modulo? Molto, tanti.
Oggi per molti di noi basta un click per avere a portata di mouse molte delle informazioni che cerchiamo. L’Italia e il sistema pubblico sul quale si regge e che certamente non ha mai avuto una buona fama per la burocrazia, si è dovuta adeguare. Questo ha significato intraprendere, dal 2000 in avanti, quel percorso lento, ma inesorabile, che ha finalmente costretto la maggior parte degli uffici e l’amministrazione pubblica in generale ad attivare strumenti di comunicazione con l’utente/cittadino e, soprattutto, a rendere fruibili dati e informazioni nel proprio campo di competenza. Succede quindi che, nel migliore dei casi ma ancora non in tutti i casi, si possa accedere al sito internet di un Comune o di un Asl o di un ente pubblico come l’Inps o come l’Inail e trovare tutto ciò di cui si ha bisogno.
Insomma, un altro mondo, almeno per chi è cresciuto a pane e tecnologia e sa destreggiarsi in rete. Rimane fuori ancora oggi una fetta importante di popolazione che, per motivi anagrafici piuttosto che per ragioni culturali, sociali o familiari, non hanno gli strumenti per poter entrare a far parte di questo processo di cambiamento. Questo significa che le politiche per un passaggio rapido e di successo alla società dell’informazione devono essere più incisive e assicurare i più alti livelli di partecipazione così da evitare il formarsi di un solco sociale tra i “ricchi e i poveri di informazione”.
Questo anche perché tutta l’informazione che prima veniva comunicata esclusivamente attraverso i media classici, radio, televisione, carta stampata, oggi viene dirottata in gran parte su altre piattaforme di comunicazione, social network e siti internet.
Secondo il Digital Economy and Society Index 2017 (Desi), un indice composito che misura lo stato di avanzamento del digitale attraverso alcune componenti tra le quali e-government, uso di internet, utilizzo di contenuti, comunicazioni e transazioni on line da parte dei cittadini, l’Italia è al 25esimo posto. Per quanto riguarda l’utilizzo delle tecnologie digitali da parte delle imprese e l’erogazione di servizi pubblici online, l’Italia si avvicina alla media. Rispetto all’anno scorso ha fatto progressi in materia di connettività, in particolare grazie al miglioramento dell’accesso alle reti NGA. Tuttavia, gli scarsi risultati in termini di competenze digitali rischiano di frenare l’ulteriore sviluppo dell’economia e della società digitali.
C’è poi un altro dato importante pubblicato nel rapporto “Cittadini, imprese e Ict” del 2016 laddove ci informa che quasi un terzo delle famiglie italiane non ha ancora accesso a internet da casa. L’Italia è in fondo alla classifica europea per diffusione della banda larga, ma fortunatamente il numero di persone che si è connesso in Rete nell’ultimo anno è in aumento.
Questo significa che il lavoro degli addetti alla comunicazione nella PA, sebbene l’Italia abbia una normativa molto più all’avanguardia di altri paesi europei, con la legge 150/2000, ma non solo, viaggia a ritmi troppo lenti e che non stimolano tantomeno la capacità e la predisposizione dei cittadini ai processi di digitalizzazione. In molti casi sappiamo che la normativa non è stata e non viene ancora oggi attuata. Se non vogliamo essere emarginati ed esclusi, c’è da lavorare, molto.