di Benedetta Fiani

Ancora oggi un bambino che nasce in Malawi ha un’aspettativa di vita di 47 anni, mentre un piccolo giapponese probabilmente arriverà a spegnere 83 candeline.

Un triste ed ingiusto gap di 39 anni che potrebbe essere colmato con l’adozione di alcuni interventi mirati: ad esempio in Nepal, tra il 1980 e il 2010, grazie ad una serie di politiche adeguate, l’aspettativa di vita alla nascita è aumentata di quasi 20 anni.

A rendere ancora più ingiusto, ma certamente più contestualizzabile, il gap della speranza di vita, sono le disuguaglianze socioeconomiche, che fanno la differenza in termini di salute, anche all’interno dello stesso Paese. In Svezia, ad esempio, non solo i laureati vivono più a lungo, ma esiste un scarto di sopravvivenza anche maggiore, tra chi ha concluso l’università e chi ha ottenuto un master.

In Italia, a parità di età, chi si ferma alla maturità ha un rischio di morire maggiore del 16% rispetto a un laureato, chi ha solo la licenzia media del 46%, chi quella elementare del 78%. L’effetto non si misura solo in anni di vita: si stima che in Italia come nel resto di Europa, se si cancellassero d’un tratto tutte le diseguaglianze socioeconomiche, la riduzione del 25% delle morti tra gli uomini e di oltre il 10% tra le donne, avrebbe un impatto sul Pil di circa il 10%.

Secondo alcuni recenti studi, i determinanti socioeconomici, indipendenti dai fattori di rischio tradizionali, rappresentano oggi il terzo fattore di rischio di mortalità dopo il fumo e la sedentarietà in Europa e Stati Uniti. Nel libro Status Syndrome l’epidemiologo Michael Marmot spiegava come si potessero mantenere queste differenze anche nei Paesi ricchi, pur in assenza di una deprivazione materiale significativa o di vera e propria povertà: c’entrano gli stili di vita, certo, in particolare la prevalenza di fumo, il consumo di alcol o il tipo di alimentazione, ma interviene anche qualcos’altro.

Il reddito non è l’unico né il fattore principale. Il più importante determinante socioeconomico della salute è il lavoro: averlo, ed esserne soddisfatti. Segue l’istruzione e solo al terzo posto la disponibilità economica. Non conta quindi solo una migliore alfabetizzazione, conta anche l’accesso ai sistemi sanitari, il che spiega perché gli Stati Uniti, che hanno una spesa sanitaria superiore a quella degli altri Paesi, abbiano indicatori di salute peggiori di molti altri meno ricchi.

È altrettanto fondamentale – sul benessere fisico e sulla sopravvivenza – anche la percezione della propria condizione nella gerarchia sociale e la sensazione di coinvolgimento e controllo sulle proprie azioni e sulla propria vita. Come è possibile?

Alcune ricerche, negli ultimi anni, hanno evidenziato un’associazione tra il sovraccarico ambientale e alcuni indicatori biologici che agiscono da mediatori tra l’ambiente e l’organismo, favorendo lo sviluppo di importanti e diverse malattie.

È evidente che il tema delle diseguaglianze deve essere inserito in un’ottica più vasta, che non riguarda solo la salute, ma anche gli aspetti politici, sociali e ambientali, tra Paesi diversi e all’interno degli stessi.

Author

PNR