di Pocah
Se anche voi avete iniziato l’anno nuovo con l’idea di perdere qualche chilo di troppo, preparatevi a soffrire. Non sarà facile infatti mantenere i buoni propositi dal momento che il nostro Governo ha proclamato il 2018 Anno Nazionale del Cibo Italiano.
Tutto tramerà contro di voi. Ringraziate il ministro Martina ed il suo collega Franceschini per aver sabotato il vostro programma di “remise en forme”. Sarete martellati da campagne di comunicazione, iniziative e eventi di promozione di prodotti gastronomici d’eccellenza e sagre alimentari. Impossibile mettersi a dieta.
Ma basterà un anno a promuovere le 5.047 specialità alimentari tradizionali censite da Coldiretti sul territorio nazionale, ottenute secondo regole tradizionali protratte nel tempo per almeno 25 anni?
Dai comunicati ministeriali si legge che prenderanno il via manifestazioni, iniziative, eventi legati alla cultura e alla tradizione enogastronomica dell’Italia. Saranno attivate iniziative per far conoscere e promuovere, anche in termini turistici, i paesaggi rurali storici, per il coinvolgimento e la promozione delle filiere, con un focus specifico per la lotta agli sprechi alimentari. Si punterà sulla valorizzazione dei riconoscimenti Unesco legati al cibo come la Dieta Mediterranea, la vite ad alberello di Pantelleria e la pizza napoletana. Sarà l’occasione per il sostegno alla candidatura già avviata per il Prosecco e e l’Amatriciana.
L’Amatriciana patrimonio dell’umanità? Ma certo, è buonissima. Confesso che non sapevo della sua candidatura a patrimonio immateriale dell’umanità! Adoro l’Amatriciana e posso capire quanto possa essere utile per la valorizzazione di un territorio gravemente colpito dal sisma, anche se forse agli Amatriciani in questo momento sarebbe piu utile ben altro tipo di sostegno. Ma a questo punto, perché non candidare la “pasta”? Forse perché la pasta “senza numero civico” non interessa, interessano di più i territori, i distretti del cibo, gli itinerari enogastronomici.
Si intuisce, leggendo le dichiarazioni rese alla stampa, una certa tendenza al campanilismo: “… Non si tratta di sottolineare solo (?) i successi economici di questo settore che nel 2017 tocca il record di export a 40 miliardi di euro, ma di ribadire il legame profondo tra cibo, paesaggio, identità, cultura. Lo faremo dando avvio al nuovo progetto dei distretti del cibo. Lo faremo coinvolgendo i protagonisti a partire da agricoltori, allevatori, pescatori, cuochi. …”. E già, perche noi mangiamo (ed esportiamo in tutto il mondo) grano in spighe, maiali, latte, tal quali, come natura crea. Il Made in Italy è famoso nel mondo per questo.
Peccato che ci si sia dimenticati di un anello importante della filiera. Peccato che i 40 miliardi di euro di fatturato export siano generati principalmente da prodotti di prima e soprattutto seconda trasformazione industriale, peccato che ancora una volta ci si dimentichi dell’Industria Alimentare, che proprio per il suo importantissimo contributo al Pil ed alla bilancia commerciale del nostro Paese, si meriterebbe una seria politica di tutela sostegno e promozione.
Tutto torna. Da una parte si interviene per contrastare con campagne denigratorie e imposizioni normative l’impiego di materie prime d’importazione (vedi etichettatura d’origine obbligatoria per le materie prime di pasta, riso, pomodoro, la battaglia contro il grano straniero, l’olio di palma), e dall’altra si avvia una massiccia campagna di promozione e valorizzazione delle specialità tipiche nazionali. Questa si che è politica integrata.
Il successo del food made in Italy è merito dell’industria alimentare, che ha fatto conoscere al mondo proposte del territorio che altrimenti sarebbero rimaste relegate a livello di nicchia. Esportando i suoi prodotti l’industria esporta anche valori e know how di un modello alimentare unico e vincente per qualità, sicurezza e sostenibilità. Ci sarebbe tanto bisogno di un vero coordinamento da parte delle istituzioni competenti nell’impiego delle risorse e nel contrastare i principali ostacoli alla competitività del settore: contraffazione, barriere tariffarie e non tariffarie, campagne aggressive verso il nostro modello alimentare mediterraneo.
Ma perché il nostro Governo non si preoccupa di intervenire con decisione per combattere il fenomeno dell’Italian sounding? Perché, ad esempio, nessuno si è mai impegnato seriamente per eliminare i dazi antidumping e antisovvenzione imposti dal governo statunitense sulle importazioni di pasta dall’Italia? Sono oltre venti anni che sulla pasta italiana importata negli USA gravano dazi medi del 20%, per proteggere i pastai americani, ai quali tra l’altro, in barba a quanto stabilito dal WTO, vengono trasferiti a fine anno gli introiti derivanti dall’imposizione dei dazi stessi. E’ dal 1996 va avanti questa beffa, nell’indifferenza del governo italiano e dei burocrati comunitari, mentre le industrie della pasta italiane combattono da sole la loro guerra commerciale: in trasferta, ostaggi di un pugno di produttori americani e di una pubblica amministrazione compiacente e protezionista ed “in casa”, dove le lobby hanno scatenato una crociata contro l’industria colpevole di approvvigionarsi di grani esteri per garantire qualità e quantità costanti alla pasta italiana, simbolo dell’eccellenza alimentare italiana nel mondo.
Questo è solo un esempio, purtroppo, delle incongruenze del nostro Bel Paese, dove piccolo è bello e l’industria è sempre cattiva.
Chissà, forse è vero che la pasta l’hanno inventata i Cinesi …