di Pietro Paganini
La Stampa – 19 gennaio 2018
Che progetto hanno per il nostro futuro i movimenti politici che si presentano alle prossime elezioni? Sembrerebbe nessuno, visto che finora non ne hanno presentato uno. E’ grave. Dovremmo chiedere loro come pensano di creare nuovi posti di lavoro, incrementare la produttività, o tagliare il debito, senza una diagnosi e un piano. Da loro vorremmo una visione e degli obiettivi. La Cina ha un progetto: diventare la prima economia al mondo e leader in innovazione, in particolare nell’ intelligenza artificiale, cioè lo strumento che guiderà il lavoro e l’economia di domani. E’ facile, è un sistema monopartitico che controlla tutto? L’America First di Trump è un progetto, discutibile, ma preciso: riaffermare l’economia americana attraverso politiche protezionistiche. Non possiamo comparare l’Italia con l’America? Gli inglesi della Brexit vorrebbero che l’Inghilterra fosse un grande porto franco nel cuore dell’Europa. I Paesi scandinavi sono e saranno leader dell’ innovazione, della digitalizzazione, e per la sostenibilità.
E l’Italia? Chi si candida a guidare l’Italia dovrebbe promuovere un progetto per il futuro attraverso una visione di quello che sarà, una missione da perseguire e degli obiettivi, misurabili, da raggiungere. Questo progetto può persino fondarsi attorno ad un’ idea rigida del mondo, così come le ideologie. Non mi piace, ma è un approccio. Ad esso preferisco l’approccio che va con il nome di Liberale, perché ci consente di individuare e risolvere i problemi che riguardano l’uomo e il suo ambiente attraverso il metodo sperimentale. E’ un percorso lungo e tortuoso di prove ed errori che nel tempo ci ha aiutato a migliorare la nostra convivenza, aumentare la nostra libertà e arricchire il nostro benessere.
Così, senza un progetto, si naviga a vista, con proposte, spesso campate per aria, che hanno il solo obiettivo di conquistare voti, presupponendo i cittadini degli sciocchi. Quella della Tassa Piatta per esempio, è una proposta condivisibile ma che avrà scarso successo e anche, poco senso, se non sarà inserita in un ripensamento più ampio del sistema fiscale e più in generale della burocrazia. L’obiettivo della tassa piatta non è quello di far pagare meno tasse, illudendo i cittadini che avranno più soldi in tasca per comprare seconde case e auto.
La sfida è invece quella di superare il vecchio concetto di fine ottocento della progressività (allora aveva senso per far pagare di più i pochi ricchi) offrendo un sistema fiscale semplice e snello che risponde all’ idea di un Paese dove è facile intraprendere, investire, e soprattutto vivere. La tassa piatta dovrebbe per esempio, rispondere all’idea di un Paese a Burocrazia Zero, esattamente uno degli obiettivi degli inglesi post Brexit. La priorità delle imprese non è pagare meno tasse – certamente cosa gradita – ma poter predirre, investire e operare in un contesto privo di catene burocratiche, il Leviatano per intenderci. Purtroppo non si intravede un movimento politico che insegua lo slogan delle Liberaldemocrazie: Libertà contro privilegio, cioè un governo dei cittadini che si contrapponga a quello delle burocrazie. Sarebbe una bella visione per noi italiani e per chi ci osserva.
La fase storica che stiamo vivendo sta sperimentando delle trasformazioni radicali profonde. Dopo più di diecimila anni di storia dell’umanità stiamo ripensando non solo il concetto di lavoro (automazione), ma il nostro stesso ruolo sulla terra (intelligenza artificiale, biotecnologie, etc.). Le macchine lavorano per noi e competono con le nostre abitudini. Dovremo continuare ad apprendere competenze diverse con lavori sempre più brevi e frammentati, con meno diritti e più rischi, e spesso salari che non crescono. Così come la produttività. I politici forse non lo hanno ben capito, dobbiamo ripensare il welfare, la scuola, i rapporti di lavoro, la produttività, e, lo scrivo da Liberale, lo stesso ruolo del mercato, della finanza (e del capitale). Per farlo, dobbiamo prima di tutto diagnosticare ciò che sta accadendo intorno a noi, cosa di per sé già difficile, e poi provare a proporre delle soluzioni che non saranno mai definitive ma si miglioreranno nel tempo attraverso il confronto, le prove e gli errori. Questo dovrebbe avvenire in un contesto di principi che per me, in base all’ esperienza storica, sono quelli dell’ individuo libero e responsabile che si dota di regole per convivere prosperando. Per altri possono essere il solidarismo storico per esempio, piuttosto che quello cattolico, o altro ancora. Qualche leader molto spiccio più che pragmatico, mi ribatterebbe che la gente ha fame, ha paura, ha bisogno adesso, non tra qualche anno. E’ vero. Ma quando come terapia si usa solo la droga, non si guarisce la malattia. Le cure richiedono una diagnosi, sono per forza mirate e non brevi. Ma più tardi si inizia e più cresce il pericolo dell’ esito infausto. Specie oggi nel mondo globalizzato.