di Benedetta Fiani
“Quando la gente pretende di ragionare, tutto è perduto”, diceva il tollerantissimo Voltaire. Il sentimento antipopolare attraversa la nostra storia da sempre: eventi che polarizzano le persone, dal ritenersi così nel giusto da bollare come stupidi altri che si esprimono in maniera divergente. Da un lato una élite colta che sa cosa è meglio per il Paese e quindi per i cittadini; dall’altra questa massa di idioti senz’arte né parte capace solo di compiere le scelte sbagliate.
Come si concilia allora la volontà popolare, con i sistemi politici? La democrazia rappresentativa è quello che di meglio abbiamo trovato nel corso dei millenni.
La questione del voto popolare, oltre ad essere annosa e complicata, è di fatto solamente quantitativa. Elias Canetti, in Massa e Potere lo diceva chiaramente: “Nessuno ha mai creduto davvero che l’opinione del numero maggiore in una votazione sia, per il predominio di quella, anche la più saggia, Volontà sta contro volontà, come in guerra”. La democrazia è tutta qui: la prevaricazione dei più sui meno, non perché l’opinione della maggioranza valga di più, pesa solo di più.
Al di là dei problemi formali della democrazia resta il punto: come e quanto il popolo, l’opinione della maggioranza interviene nella vita pubblica e la condiziona? La gente storicamente è una massa, un soggetto spinto da una forza che si autodetermina per frantumare sistemi politici gerarchici, sistemi di autorità e di valori. Questo è stato vero sino al Novecento, ma oggi? Oggi la massa più significativa e più potente è oggi quella del mondo digitale.
Più uno sciame che una massa, senza anima, senza spirito e senza identità. Uno sciame che raggruppa individui che non diventano mai un “Noi”, uno sciamo sempre eccitato ed emotivo, del tutto incapace di strutturare un discorso, ma bravissimo a fare e disfare in un batter d’occhi.
Per onestà intellettuale (almeno noi) una domanda dobbiamo farcela. È possibile che sia solo colpa di internet? Popper pensava che la tv fosse una cattiva maestra, violenta e antieducativa. Prima di lui, Platone era convinto che prima o poi la scrittura avrebbe ucciso la conoscenza orale.
La tecnologia in sé non ci rende più stupidi, semplicemente gonfia alla potenza le occasioni e la portata per farci conoscere per quelli che siamo. Degli imbecilli.
Infatti, il problema non è tanto l’opinione a sproposito, quanto i fatti alternativi che si fanno massa, diventano virali, si trasformano nello spot “è la gente che lo vuole”, quindi i politici sono tutti ladri, gli uomini tutti porci, le bionde tutte sceme.
La questione non è se le persone abbiano o meno il diritto di esprimersi, votare, partecipare. Il problema è come questa massa viene usata. Per non cadere nel tranello della dittatura dell’imbecillità facciamo attenzione tutte le volte che inveiamo contro la gente per le scelte, i complotti, le scie chimiche, i vaccini e la razza bianca: con quale autorevolezza gli diamo degli imbecilli?
Etimologicamente, stupido è chi si stupisce. Ecco perché non ci piace la gente: perché la gente siamo noi. Nessuno escluso. Di certo quando il sole della cultura è basso, i nani hanno l’aspetto di giganti, ammoniva Karl Kraus. Tutti noi viviamo un’epoca crepuscolare: dovremmo ricordarcene quando, la prossima volta, ci stupiremo della nostra lunga ombra.