di Benedetta Fiani

Ad essere più colpiti dalla povertà, in Italia, sono i giovani (Rapporto sulla povertà, Caritas 2017). La povertà si sta trasformando in un fenomeno sempre più pervasivo e diffuso, ma il dato più allarmante è che ad essere penalizzati non sono solo i pensionati, ma soprattutto i giovani. E mentre in Europa la povertà giovanile è in declino, in Italia è in aumento – dal 2010 al 2015 si registra un incremento del 12,9%).

Nel 2015 spicca la presenza di oltre 117 milioni di europei a rischio povertà (23,3% della popolazione complessiva legalmente presente nell’UE a 27 paesi, al primo gennaio 2016). In Italia, il numero totale di persone nello stesso tipo di condizione è di 17 milioni 469mila (28,8% della popolazione), di questo esercito quasi 2 milioni sono giovani.

Questa nuova povertà giovanile pesa maggiormente di quella degli anziani perché ha maglie più larghe e finisce con il colpire un intero ecosistema. Infatti, un giovane povero è un giovane che non investe nell’educazione, che non può dedicarsi allo sport e che non è nelle condizioni di viaggiare.

Un giovane che ha poche possibilità di trovare un lavoro, uscire da casa dei genitori e crearsi una famiglia. È quello che a livello europeo viene chiamato il fenomeno dei NEET, giovani privi di lavoro e fuori dal circuito educativo: l’Ocse stima che uno su tre vive ai margini della società.

I giovani che lavorano hanno anche un salario più basso rispetto a quello delle generazioni precedenti e anche questo fattore contribuisce ad una penalizzazione nei progetti di vita che oggi sono incerti e con tappe più diradate nel tempo rispetto al passato. La profonda recessione e il lento recupero dopo la crisi finanziaria del 2008 sono le cause primarie di questo fenomeno ma anche i cambiamenti del mercato del lavoro, il calo demografico che sta portando all’invecchiamento della popolazione e la riduzione del nucleo familiare.

Questo circolo vizioso vale a livello globale ma l’Italia è uno dei Paesi più colpiti perché in altri Stati, come ad esempio la Svezia, sono state introdotte delle misure specifiche per incoraggiare i giovani allo studio e incrementare opportunità di lavoro di qualità e con salari equi.

L’impatto della povertà giovanile è quindi molto più ampio e il divario intergenerazionale in termini socio-economici penalizza i giovani nel nostro Paese a favore delle persone più anziane, meglio retribuite e con maggiori livelli di protezione sociale. Lo hanno capito anche gli stranieri: non solo i flussi migratori verso il nostro paese stanno diminuendo ma sono tanti gli stranieri che decidono di lasciare il nostro Paese, nel 2015 sono stati 44.000, il triplo rispetto a nove anni prima.  Non solo gli stranieri ma anche i giovani che emigrano: nel 2016 73.000 giovani diplomati e laureati hanno abbandonano l’Italia ritenendolo un Paese per vecchi che perde il capitale umano più importante, quello dei giovani.

L’Italia si trova quindi di fronte ad una situazione drammatica: ha tanti anziani da proteggere e pochi giovani sui cui puntare. E i primi sono sempre al centro del dibattito politico e ben rappresentati invece i secondi versano nell’indifferenza più generale.

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