di Raffaello Morelli
Da settimane su PNR, batto sull’urgenza che il dibattito elettorale si concentri non su quanto vorrebbe fare ciascuna lista o coalizione vincendo da sola (perché tanto con questa legge elettorale e con questo panorama politico, non ci saranno i numeri per vincere da soli), ma su cosa si potrà fare in Parlamento con poche scelte a tema attivando la convergenza di più liste, coalizzate o no, ora contrapposte.
Se mi sbagliassi e il 4 sera le urne dessero una maggioranza nei seggi, per l’Italia la situazione non si risolverebbe, dal momento che il vincitore solitario non potrebbe governare non avendo un progetto organico che ridisegni il paese con iniziative definite per trarlo dal pantano in cui è. Però lo desiderano tutti i gruppi, anche se è preoccupante. Per cui , nel caso i cittadini diano una maggioranza, diciamo “contenti loro” e speriamo il meglio. Tuttavia non penso di sbagliarmi in generale (perfino giornalisti di rilievo iniziano a dire lo stesso) e perciò approfondisco il ragionamento sul senso dell’auspicio di convergenza tra liste contrapposte.
Comincio con l’osservare che, in ordine di tempo, la prima convergenza richiesta è sui due nomi del Presidente del Senato e della Camera. Non sarà agevole , mancando una maggioranza politica. Nelle liste attuali non appaiono personalità tanto forti dal porsi al di sopra della propria appartenenza, visto che quelle più forti sono ai vertici di schieramenti così netti da renderle inaccettabili alle altre parti. Già per le due presidenze occorrerà una convergenza eccezionale e precaria. E’ un indizio ulteriore che la partita decisiva verte sulla capacità di individuare pochissimi punti essenziali con una maggioranza numerica solida per attuarli in tempi ristretti.
Tale maggioranza numerica – è prevedibile fin d’ora – non potrà corrispondere ai sogni (sempre più visibili) di sommare parlamentari PD e FI, i vedovi del nazareno. Nati da epurazioni, saranno fedeli ai due capi ma incapaci del miracolo di moltiplicarsi. E siccome Lega e Fratelli d’Italia non faranno da paravento all’inciucio PD-FI , per una maggioranza numerica ci vorrà anche il consenso del primo partito in Parlamento, che secondo i sondaggi sarà il M5S. Pertanto prima si evolvono i contenuti della campagna elettorale, meglio è. Abbandonando le promesse spettacolari, dovranno far emergere le poche cose condivise da più liste politiche frontalmente contrapposte nel disegno generale. Indicare, in anticipo, poche cose su cui convergere, non è un inciucio. Nella democrazia parlamentare, è il minimo da pretendere da cittadini eletti per rappresentare tutti mediante la propria valutazione dei fatti.
Intanto, far emergere nel dibattito il percorso minimale da fare poi in Parlamento, è una procedura che frena l’astensionismo, perché restituisce al cittadino un peso nella scelta che si farà. E così i cittadini si sentono spinti al voto (lo dimostra il massiccio ritorno dei votanti, dopo moltissimo tempo, al referendum abrogativo del ‘16). Poi l’emergere di possibili convergenze agevola il compito del Presidente della Repubblica nell’assumere decisioni tali da conservare le scelte istituzionali il più possibile vicine alle indicazioni dei cittadini con il voto.
Qui sta il punto chiave. Il confronto politico di fondo è tra chi vuole affidare le scelte politiche al giudizio del cittadino e chi vuole affidarle ai poteri comunque costituiti o costituendi. I liberali, in base all’esperienza storica, sostengono l’affidarsi alla libertà dei cittadini diversi. E, senza dubbio, una delle prima condizioni per farlo, non è sognare con le promesse ma disporre di una legge elettorale che consenta ai cittadini di esprimersi senza procedure contorte che favoriscono i potenti. Ne segue che la convergenza principale da attivare nel prossimo parlamento è per una nuova legge elettorale che venga disboscata dalla concezione consociativa di PD e FI, tolga il tappo alle scelte del cittadino (il 4 marzo il voto uninominale consente la scelta del candidato ma obbliga a sposare ulteriori candidature plurinominali in liste rigide) e usi solo il voto per scegliere i progetti di rappresentanza e di governo. Si ottiene o con una legge elettorale proporzionale con soglia massima del 2% con un voto di preferenza, oppure con collegi uninominali maggioritari ristretti , se a doppio turno con soglia di accesso al 15% per il secondo turno, se ad un turno con il divieto di candidature plurime.
Questo primo impegno della legislatura – ridare centralità elettorale al cittadino sovrano – rischia di essere anche l’unico. Vi sono sì almeno tre altre questioni importantissime. Tagliare il debito pubblico accumulato (con contributi raccolti in via proporzionale), perché, finché avrà la dimensione attuale, non ci saranno risorse per risvegliare l’economia. Rivedere l’ordinamento giudiziario, come previsto dalla VII Disposizione finale della Costituzione, 1° comma, inattuata. Ripensare macchina dello Stato e rapporto con i cittadini dimagrendo tantissimo la burocrazia (che ostacola la fluidità dei processi organizzativi, inibisce la libera iniziativa e induce il rifiuto delle istituzioni).
Peraltro è arduo determinare in poche settimane le convergenze per affrontare questi tre lacci soffocanti. Per di più, tre aree politiche su quattro presentano vertici composti da persone lungamente sperimentate al governo e quindi non credibili quanto a capacità realizzativa di quanto promettono. E poi la tesi di fondo della coalizione di centrosinistra è che la politica si fa con la continuità della gestione. Parole che, visto lo stato dell’Italia, agevolano chi è portatore della discontinuità più robusta. Ma non favoriscono il convergere su una delle tre questioni.
In conclusione, non pretendere la luna, ma impegnarsi sulla possibilità di rifare la legge elettorale e di avere, se necessario, l’uscita di sicurezza di tornare alle urne dai cittadini (vaccinati dai bugiardi).