di Gianmarco Brenelli
Come ben si conosce, il dato comune degli ordinamenti occidentali originatosi nell’Illuminismo è costituito dal principio di legalità, che ha come cardine riconoscibilità, prevedibilità della Legge e della pena quale garanzia per il cittadino rispetto all’arbitrio degli uomini, siano essi “potenti” o, addirittura, “magistrati”.
In sostanza, un sistema di leggi certe ed anteriori rispetto al fatto: “le sole leggi possono decretare le pene sui delitti, e questa autorità non può risiedere che presso il Legislatore che rappresenta tutta la società unita per un contratto sociale”.
Se è pur vero che le parole del Beccaria che precedono rimangono universalmente condivise, è del pari vero che si avvertono sempre più frequenti spinte per una sorta di rilettura emergenziale del principio di legalità.
Vediamole così in sintesi:
- Da una parte è sotto gli occhi di tutti la spinta del giustizialismo, o “populismo giudiziario”, che tende a disattendere la legge certa e la centralità del processo per privilegiare una giustizia immediata, senza “se” e senza “ma”, celebrata spesso nella titolazione dei giornali e nei talk show, ove l’unico giudice è un malinteso concetto di opinione pubblica.
- Come conseguenza di quanto sopra, si accentua la tendenza “pan-penalistica”, tanto che il legislatore, rincorrendo il populismo, moltiplica le fattispecie penalmente rilevanti massimizzando anche le pene edittali, in qualche modo per garantire una esigenza di punizione e il senso di sicurezza del cittadino.
- Un terzo fattore, meno avvertito, e relativamente nuovo è dato dalla penetrazione nel sistema di fonti estranee al potere legislativo sia attraverso la Giurisprudenza creativa c.d. “diritto vivente” così come attraverso quella sovranazionale (Corte europea dei diritti dell’uomo e Corte di Giustizia dell’Unione europea), che sempre più frequentemente incidono sulla legge interna, attraverso sentenze disapplicative, quando non sostanzialmente creative.
Nel panorama italiano degli ultimi quattro anni si registrano anche note positive, che è giusto menzionare:
- Sotto il profilo sostanziale, con riguardo al concetto di reato e pena, i decreti n.7 e 8 del 15 gennaio 2106[1], hanno inciso sul diritto penale sostanziale, tanto che si è parlato di un suo “arretramento a vantaggio del diritto amministrativo e del diritto civile”[2], mediante la depenalizzazione di taluni reati, (i meno gravi per es. ingiuria).
- Epocale è stata l’introduzione – anche se non del tutto nuova in altri settori dell’Ordinamento – dell’istituto della tenuità del fatto, ex art. 131 bis del codice penale[3] che consente, in presenza di reati con pena contenuta[4], l’esclusione della punibilità laddove, per le modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo, l’offesa cagionata sia di lieve entità e il comportamento non abituale.
- Nel medesimo solco, e sempre per ragioni di deflazione, va menzionato l’istituto di nuovissimo conio di cui all’art. 162 terp[5]., ovvero la causa di estinzione del reato per condotte riparatorie che prevede, nei soli casi di reati perseguibili a querela, l’estinzione del reato quando l’imputato ripari interamente – entro il termine di apertura del dibattimento di primo grado – il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni e il risarcimento nonché l’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato.
- Tra le modifiche più rilevanti alla procedura va senz’altro menzionato l’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova, ai sensi degli artt. 168 bisp. e 464 bis ss c.p.p.[6], che, secondo le più recenti statistiche è in costante, esponenziale utilizzo[7], poiché consente – prima della condanna – al soggetto indagato e/o imputato di porre rimedio – mediante la prestazione di lavori di pubblica utilità e adempimenti riparatori – al danno cagionato e “meritando” così una seconda possibilità da parte dell’Ordinamento che emette nei suoi confronti, in caso di esito positivo della prova, una declaratoria di estinzione del reato[8].
- Anche il recentissimo D. Lgs. 216/2017[9] in materia di intercettazioni, pubblicato sulla G.U. da nemmeno un mese e già oggetto di ampie riflessioni, con operatività piena a partire dal 26 luglio 2018[10] sembra andare nella direzione opposto alle speculazioni.
Di origine europea e pienamente ratificata dal nostro Paese vi è l’introduzione dell’ordine europeo di indagine penale[11], la realizzazione di squadre investigative comuni[12], l’ordine di protezione europeo[13] e vari provvedimenti legislativi assunti in sede di Unione[14]. Dalla sede più ampia e sovranazionale trae ispirazione la recentissima modifica del libro undicesimo del codice di procedura penale, in tema di rapporti giurisdizionali con autorità straniere, ad opera della Legge 21 luglio 2016, di ratifica della Convenzione di Bruxelles[15].
L’influenza degli organismi sovranazionali ha riguardato anche:
- a) le istanze elaborate in seno alla c.d. “Grande Europa”, con particolare riferimento alla celeberrima sentenza pilota “Torreggiani”, da cui ha tratto origine, prima fra tutte, la Legge 67/2014[16] che ha posto i rilevanti interventi di depenalizzazione e deflazione processuale del procedimento;
- b) le spinte provenienti dalla “Piccola Europa”, in particolare con la trasposizione delle direttive di cui alla “Tabella di marcia” e al Programma di Stoccolma in materia di processo penale
- c) la stessa “Riforma Orlando”, ha tratto spunto da influenze sovranazionali, anche se in taluni aspetti non garantisti, essa ha visto gli avvocati in prima linea per difendere alcuni principi di garanzia costituzionale come quelli che avevano informato il codice riformato del 1988.
Non si può non osservare che tuttavia alla semplificazione legislativa penale sui reati c.d. “minori” e al maggior coordinamento con l’Unione si è accompagnato, il fenomeno opposto, che tende all’allungamento sine die dei processi, attraverso l’estensione dei termini di prescrizione, sulla base della pressione della magistratura organizzata e di settori ideologicamente poco sensibili alle garanzie.
Il processo penale in Italia può essere aperto anche dopo decenni dal fatto, o – una volta aperto – non finire mai anche con fattispecie create della giurisprudenza con interpretazioni estensive raccolte nel c.d. “diritto vivente” che lede la certezza e la libertà. Valga per tutti il processo Palermo sulla c.d. trattativa per reati incomprensibili e su circostanze dichiaratamente agiuridiche.
A tutto ciò si aggiungono specifiche influenze europee, che per alcune materie vengono ad incidere sull’ordinamento interno e sulla sua prevedibilità e a tale proposito va menzionato il “botta e risposta” intercorso negli ultimi tre anni tra la Consulta italiana e la Corte di Giustizia dell’Unione europea, proprio in tema di allungamento della prescrizione.
Il riferimento è alla ormai celebre sentenza “Taricco”, nella quale la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha affermato che dal diritto primario dell’Unione – ed in particolare dall’art. 325 TUE – discenderebbe l’obbligo, per il giudice italiano, di disapplicare addirittura gli artt. 160 e 161 del codice penale, tra l’altro appena riformato, in tema di prescrizione da cui discenderebbe una minore punizione nei reati in materia di IVA e di interessi finanziari dell’UE[17].
Sul punto le posizioni UE e dello Stato (non solo quello italiano) sono opposte: da una parte una tutela degli interessi finanziari, dall’altra il sistema delle garanzie del singolo, che ne vengono, in nome dei primi, scardinate. La Corte Costituzionale, con l’ordinanza n. 24 del 26 gennaio 2017 ha posto in essere la c.d. “minaccia dei controlimiti” rimbalzando nuovamente la palla alla Corte di Giustizia, attraverso il rinvio pregiudiziale, ove si pone un avviso la Corte di Giustizia sulla sua interpretazione che sarebbe in possibile contrasto con il principio di legalità penale, e ciò evidenziando con forza l’indispensabilità che il diritto dell’Unione europea rispetti i principi costituzionali degli stati membri.
Nella sentenza c.d. Taricco bis[18], del 5 dicembre 2017, la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha così dovuto precisare che l’interpretazione già fornita nel 2015, confermava sì l’applicabilità immediata dell’art.325 TFUE (non contestata, peraltro, neanche dalla Corte Costituzionale), ma ciò sempre nei limiti, in cui tale applicazione non comportasse una violazione del principio di legalità dei reati e delle pene, sotto il profilo della prevedibilità, determinatezza e irretroattività della legge penale.
Come si vede, il tema è sempre quello di cui si parlava all’inizio, e riguarda pur sempre la certezza e precisa definizione del comando rivolto dalla legge al cittadino, così come un tempo processuale ragionevolmente breve e un numero limitato di condotte lesive da assoggettare a pena.
Le contraddizioni richiamate in estrema sintesi in parte sono fisiologiche e in qualche modo non nuove mentre in parte esse sono il risultato di un’eccessiva incidenza e sovraesposizione raggiunta dal sistema penale nella vita politica, nel costume e nella società italiana, ivi compreso lo spettacolo sui media che spesso, addirittura, s’identifica nel processo penale per la visibilità gratuita ai protagonisti e le connesse occasioni ai giornalisti. Governi e Parlamenti non devono essere affatto scavalcati da siffatti fenomeni regressivi, ove la sentenza e la pena, anticipano il processo effettivo con le ben note condanne di piazza – sempre più spesso ormai smentite dal successivo processo – ma devono tutelare le garanzie per l’individuo e la civiltà giuridica.
[1] D. Lgs. N. 7 e 8 del 15 gennaio 2016, pubblicati in G.U. il 22 gennaio 2016, con vigenza dal 6 febbraio 2016, adottati in attuazione della Legge delega n. 67 del 22 aprile 2014.
[2] L’espressione è del Prof. Gian Luigi Gatta, tra i primi commentatori dell’intervento di cui sopra. V. sul punto: “Depenalizzazione e nuovi illeciti sottoposti a sanzioni pecuniarie civili: una riforma storica”, in Diritto Penale Contemporaneo, 25 gennaio 2016.
[3] Cfr. D. Lgs. 16 marzo 2015, n. 28
[4] Si tratta, in particolare, di reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena. Cfr. art. 131 bis c.p., comma 1.
[5] Si tratta di un istituto introdotto dall’art. 1, comma 1, della Legge 23 giugno 2017, n. 103, a decorrere dal 3 agosto 2017.
[6] Anche tale istituto, seppure non rappresenti una novità assoluta nel nostro Ordinamento poiché già esistente, seppure con alcune varianti, nel procedimento penale minorile è stato inserito dalla L. 67/2014, con chiaro intento deflativo.
[7] Dalle statistiche pubblicate dal Ministero della Giustizia, infatti, risulta che in soli sei mesi le istanze di messa alla prova sono passate da 9.678 a 11.102 (cfr. Ministero della Giustizia, Statistiche, “misure alternative, lavoro di pubblica utilità, misure di sicurezza, sanzioni sostitutive e messa alla prova” – dati al 31 gennaio 2018 e al 30 giugno 2017.
[8] In caso di mancato superamento della prova, invece il procedimento riprende il suo corso da dove si era interrotto.
[9] Decreto legislativo 29 dicembre 2017 n. 216, recante “Disposizioni in materia di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, in attuazione della delega di cui all’art. 1 commi 82, 83 e 84 lett. a), b), c), d) ed e) della l. 23 giugno 2017, n. 103”.
[10] Per un primo commento sul punto V. G. Pestelli, Brevi note sul nuovo decreto legislativo in materia di intercettazioni: (poche) luci e (molte) ombre di una riforma frettolosa, in Diritto Penale Contemporaneo, 29 gennaio 2018.
[11] D. Lgs. 21 giugno 2017, n. 108 di attuazione della direttiva 2014/41.
[12] D.lgs. 15 febbraio 2016, n. 34 (G.U. 58 del 10.3.2016
[13] D. Lgs. 11 febbraio 2015, n. 9, Attuazione della direttiva 2011/99/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011 sull’ordine di protezione europeo
[14] Tra queste, a titolo esemplificativo e non certo esaustivo il D. Lgs. 15 febbraio 2016, n. 31/2016 in materia di reciproco riconoscimento delle decisioni pronunciate in assenza dell’imputato al processo e il D. Lgs. 15 febbraio 2016, n. 29, in materia di risoluzione dei conflitti relativi all’esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali.
[15] D. Lgs. 5 aprile 2017, n. 52, Norme di attuazione della Convenzione relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione europea, firmata a Bruxelles il 29 maggio 2000, in G.U., 27 aprile 2017, n. 97. Per un primo commento V. L. Camaldo, L’attuazione della Convenzione di Bruxelles del 2000: l’assistenza giudiziaria in materia penale assume una configurazione a “geografia variabile”, in Diritto Penale Contemporaneo, 19 luglio 2017.
[16] Si tratta della Legge delega n. 67 del 22 aprile 2014 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili).
[17] Così F. Viganò, Il caso Taricco davanti alla Corte Costituzionale: qualche riflessione sul merito delle questioni e sulla reale posta in gioco, in Diritto Penale Contemporaneo, 9 maggio 2016.
[18] Corte di Giustizia dell’Unione europea, Grande Sezione, sent. 5 dicembre 2017, causa C-42/17; Per un primo commento v. E. Lupo, La sentenza europea c.d. Taricco – Bis: risolti i problemi per il passato, rimangono aperti i problemi per il futuro, in Diritto Penale Contemporaneo, 22 dicembre 2017.