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Roma Domani – Affari Italiani – Intervista Pietro Paganini

Affari Italiani mi ha intervistato sul futuro di Roma. Per il primo quotidiano online d’Italia ho analizzato la situazione politica, economica e sociale di Roma. Con Affari Italiani abbiamo discusso di elezioni, di candidati, di programmi, e della visione del futuro che manca. Affari Italiani mi ha anche chiesto del degrado in cui è declinata la città, morale, sociale. A Roma manca una classe media impegnata nell’immaginare il futuro. La sfida è nelle mani dei giovani che di devono prendere la città in mano. 

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Roma Domani 

A Roma non è nato ma ci vive, e dice di “digerirla”. Nota che il declino della città va avanti da anni, e che l’ha “distrutta” Walter Veltroni. Quanto alle prossime comunali afferma che Raggi ha fatto “meglio”  (ma non abbastanza) di quanto ci si aspettava e che il Campidoglio per Calenda sarebbe un “ripiego”.

Economista liberale, Pietro Paganini non ha problemi con i punti di vista che possono sembrare urticanti.

Tra poco si vota per il sindaco. Che bilancio farebbe dell’attuale primo cittadino Virginia Raggi che cerca il bis?

“Paradossalmente il Covid-19 ha sospeso la decadenza di Roma che sembrava fino allo scorso anno inarrestabile. Roma è una città senza né capo né coda il cui splendore deriva dal passato che noi tutti conosciamo ma che non sa vivere il presente né tantomeno pensare al futuro. Presente e futuro devono essere radicati nel passato ma devono proporre un cambiamento dei passi in avanti. La decadenza di Roma è ovunque, in ogni attività sociale, culturale, economica. È una città che si è persino abbrutita nei modi dei suoi abitanti, nei suoi gruppi, fino a quelli di potere che vivono ancora sfruttando lo splendore del passato. La Raggi ha fatto meno peggio di quanto si potesse pensare. La sospensione dovuta al virus che riguarda tutti i sindaci, compreso Sala a Milano, l’ha aiutata. La Raggi, con tutti i limiti che sappiamo ha provato a cambiare, ma scontrandosi con i suoi limiti appunto, ma soprattutto con i clan (barbari) che hanno e continuano a devastare la città.

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Mi riferisco ai gruppi di potere che dominano i diversi settori sociali ed economici della città: la stessa organizzazione comunale per prima, le partecipate (Atac, Ama…), e quel groviglio di interessi che non lavora per promuovere Roma nel mondo ma per garantirsi la sopravvivenza. Il declino è iniziato molto tempo fa. La giunta Rutelli lo ha anestetizzato con il Giubileo, provando ad invertire la rotta. La giunta Veltroni ha distrutto Roma, inseguendo sogni pindarici senza alcuna aderenza ai fatti e ai problemi della città. Nessuno ha il coraggio di affermarlo. Peggio ha fatto solo Alemanno che si è preoccupato unicamente di gestire il potere affidandolo a persone, peraltro, novizie e affamate che hanno combinato quello che sta davanti ai nostri occhi. Con onestà vedo difficile un cambiamento. Anche perché Roma ha un problema rispetto per esempio a Milano.

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É un limite storico. Manca una classe media, borghese, propensa al cambiamento, visionaria, che guarda al futuro della città, non solo delle proprie tasche e relazioni di potere. A Milano affonda le radici in Beccaria, Verri, Manzoni, ecc. A Roma non c’è e non c’è mai stata, per tante ragioni. Milano si è rilanciata grazie alle idee e ai progetti di una nuova generazione di pensatori, creativi, curiosi, volenterosi, che hanno colto che per vivere bene serve una città vivibile, progettata nel futuro che attrae investimenti e risorse umane. Chi attrae Roma? Nemmeno più i turisti, ma solo i pellegrini numeri alla mano. Sono fatti”.

La Raggi ha chiesto parte del Recovery Fund da usare per progetti discussi. C’è e se sì quale può essere un impiego utile di una quota di quel denaro per la città?

“Con tanti soldi si può morire poveri, così con pochi soldi si può cambiare il destino del mondo. Servono obiettivi, ma soprattutto una visione. Cosa vogliamo fare di Roma nei prossimi 50 anni? Chi vogliamo portare a Roma a vivere? Vogliamo lo stemma Spqr nella testa di 7.6 miliardi di cittadini del mondo? Tutti conoscono e vorrebbero andare a New York, a Londra, a Dubai. Persino a Milano. Roma è vista solo come meta turistica, di qualche giorno, in un viaggio attraverso l’Italia. Un po’ poco. Prima dei soldi, che non fanno mai male, i romani dovrebbero decidere cosa fare di Roma. Una domanda ai romani: chi si preoccupa di Roma tra 10 anni? Chi ha un progetto visionario e unitario? Dubai non è cresciuta dalla sabbia così? Ci sono idee, progetti, dedizione, e soprattutto un senso di appartenenza. Di cose a Roma ce ne sono da fare, dalle infrastrutture alla tutela del patrimonio, all’assistenza. Ma prima serve un progetto unitario. Altrimenti saranno soldi spesi, non investiti. Noi dobbiamo investire in questa incredibile opportunità del Recovery”.

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Diverse forze politiche reclamano da anni più fondi per Roma perché si tratta della Capitale. In questa situazione sarebbe produttivo o prima bisognerebbe riformare la città e metterne a posto i conti?

“Prima serve ciò che ho detto. I soldi devono poi arrivare per essere investiti insieme a una generale revisione dei conti, le spese, il debito. Ma la domanda è sempre la stessa. Che cosa fare, e soprattutto, chi è in grado di farlo?”.

Al momento i candidati sono due: appunto la Raggi e Carlo Calenda.

“Mi auguro che si trovino candidati, ma soprattutto squadre migliori che conoscano la città, non solo un quartiere chic, che abbiano una visione, e che sappiano raccogliere attorno a sé i gruppi di potere della città e trasformarli per il bene della città. La Raggi ha dimostrato volontà, va dato atto. Ha grossi limiti, ed è parte di una coalizione improvvisata. Calenda ha preso Roma per un ripiego ai suoi mancati successi nazionali. La politica non è un palcoscenico su cui emergere o fare i bulli (vedi Renzi), ma è un luogo cui dedicare la propria vocazione, è anche un ambito dove realizzare dei sogni, o meglio la visione. Né una né l’altro hanno detto che cosa vogliono fare di Roma”.

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Da romano di adozione (essendo nato a Legnano) lei che chiederebbe al prossimo sindaco?

“Ho scelto di vivere a Roma alternandola ai tanti viaggi di lavoro che mi portano in tutto il mondo, per cui la digerisco. E dopo un po’ che sono fuori, mi manca. È come una madre per me, una sorella, un’amante da amare e odiare. La amo più di chi ci è nato, perché ho scelto di starci nonostante le sue contraddizioni, le inefficienze, la sua tanta volgarità che è poi il segno dell’impero che cade. Da un sindaco vorrei prima di tutto un progetto, una visione. Le buche si chiudono, gli autobus girano se sopra c’è un progetto e una squadra che lavora unita con un unico obiettivo. Più che un sindaco, serve una generazione da cui escano tanti potenziali sindaci che sappiano trasformare, attraverso il confronto, la città. Questo dobbiamo coltivare. Cioè, anche il prossimo sindaco potrà fare poco, a queste condizioni”.

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PNR