La Stampa, 15 luglio 2016,
Uno spettro si aggira per l’ Europa. Non è il comunismo, ma il populismo, un movimento che oggi si moltiplica a livello internazionale, che esalta il popolo sulla base delle sue aspirazioni e in particolare di una profonda frustrazione per le condizioni sociali ed economiche presenti. I populisti cavalcano le forti diseguaglianze a cui l’ attuale leadership globale non sembra capace di porre rimedio. Ma cavalcano anche una serie di dati errati e di incongruenze che attanagliano la nostra economia.
Negli Usa la disoccupazione è al 5%, meno della metà di quella italiana, l’economia cresce seppure non galoppa, eppure la produttività resta al palo così come i salari. Così la classe media si impoverisce e trova sollievo nelle parole di chi propone certezze attraverso la mistificazione della realtà. Tutto questo è profondamente aggravato dalla impossibilità di raccontare esattamente come stanno le cose, e di garantire previsioni corrette. Fare previsioni economiche è di per sé difficile.
Come ricordò una volta Antonio Martino infatti, se per le previsioni meteorologiche è sufficiente aprire la finestra, almeno per quelle di breve periodo, per l’ economia e le trasformazioni sociali non basta. Eppure nella società dei Big Data e degli algoritmi dovrebbe essere tutto più semplice. Dovremmo poter sapere in tempo reale quanto si produce, si vende, si compra, si spende, e trarne delle proiezioni. Eppure non è così, almeno in economia. Come lamenta Roger Altman sul Wsj , prevedere il futuro è diventato più difficile che mai. Le previsioni degli ultimi anni su Pil, tassi di interesse e petrolio, per esempio sono tutte sbagliate.
Le ragioni sono molteplici e tra loro interconnesse. La globalizzazione dei mercati e dell’economia è la prima. I fattori in gioco oggi sono talmente tanti, e cosi strettamente interconnessi, che la metafora della farfalla non trova migliore collocazione: una impercettibile mutazione politico-economica in una remota area del globo può avere ripercussioni devastanti. Perché?