La Stampa, 17 febbraio 2016

Vi stupirò ma i tassisti hanno una ragione nel protestare. Una democrazia è liberale quando si dà delle regole su come si possano intessere le relazioni tra i cittadini. In materia di trasporto pubblico e in particolare di taxi, auto condivise, Ncc (noleggio senza conducente), una legislazione è oggi necessaria per garantire più competitività, maggiore innovazione, e quindi servizi migliori per gli utenti e prosperità per gli operatori. I continui rinvii del Parlamento e i silenzi o le urla demagogiche dei governi che si succedono alimentano la confusione e di conseguenza l’instabilità del settore. Ci rimettono i tassisti che hanno investito nelle licenze, i concorrenti che vorrebbero investire in nuovi servizi (Uber, Ncc, car sharing, etc.) e soprattutto gli utenti che oltre al disagio maturano sempre più sfiducia verso il sistema Paese.

Qui non si tratta di singolarità tecnologica, il momento nella storia in cui il progresso tecnologico accelera oltre la capacità di comprenderlo degli esseri umani.
Si tratta piuttosto di deficienza di capacità politica, il momento nella storia d’Italia in cui la classe dirigente, che dovrebbe creare le condizioni per la libertà e la prosperità dei cittadini, non è più in grado di comprendere quello che sta accadendo nel Paese.
Il progresso tecnologico è talmente rapido e radicale che fatichiamo a creare le condizioni per bilanciare le libertà e i diritti e quindi garantire agli innovatori di cambiare il mondo e ai cittadini di stare al passo. Tuttavia, oggi quelle condizioni, almeno nel settore del trasporto, ci sono.
Manca la volontà politica e la capacità di una classe dirigente di preparare il futuro, compreso il coraggio di parlare chiaro agli autisti dei taxi o alle giovani generazioni dell’ economia condivisa che poi sono il futuro. Le ragioni dei tassisti si fermano qui però.

Sono ingiustificabili le modalità con cui esprimono il loro – se pur legittimo lo ribadisco – malcontento: il linguaggio violento, le minacce ai colleghi che hanno scelto di non scioperare e l’eccessiva aggressività dei comportamenti ben documentata da cittadini allibiti in cerca di un mezzo di trasporto. La difesa di quello che fino a poco tempo fa era sostanzialmente un monopolio è una follia ideologica che nega il progresso tecnologico e l’innovazione e che obbligherebbe gli utenti, e quindi i cittadini, ad usufruire di un servizio di scarsa qualità.
I tassisti devono abituarsi e adeguarsi alla competizione, perché fa bene agli utenti, all’economia, ma anche a loro. Non ci sono studi in proposito, ma è un dato di fatto che alcuni taxi hanno migliorato il proprio servizio in risposta all’ avvento di Uber, e del car sharing in tutte le sue forme, e dei gusti sempre più consapevoli dei cittadini. Sono migliorate le autovetture, il servizio a bordo, sono comparse le app e le carte di credito. Cioè quello che già offre la concorrenza, come Uber e gli Ncc.

I tassisti se ne facciano una ragione perché le nuove generazioni, in Italia come nel resto del globo, stanno maturando con un’idea ben chiara di come dovrebbe funzionare il mondo, e questo non comprende certo il monopolio, spesso arrogante, del taxi.
Perché, duole segnalarlo, ma molti tassisti vogliono questo, il monopolio. Pretendere un monopolio è legittimo ma produce gravi effetti negativi.
E infatti, lo Stato Liberale offre gli strumenti per garantire la concorrenza, proprio per favorire la libertà di scelta e la propensione all’innovazione. È proprio all’innovazione che i tassisti si dovrebbero dedicare, chiedendo ai Comuni di mettere mano al piano trasporti per velocizzare i tempi di circolazione, e quindi aumentando il numero delle corse e inseguendo le esigenze di un pubblico che sta cambiando e che giustamente cerca le soluzioni migliori che il mercato offre, o addirittura, si ingegna per fornirne di nuove.

P.S. Sto entrando in stazione mentre scrivo, i taxi scioperano, ho già prenotato il mio car sharing, costo di percorrenza circa 5 contro i 13 del taxi.

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PNR