Affaritaliani.it, 15 aprile 2017

L’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), un forum per le nazioni più avanzate al mondo, ha recentemente criticato l’Italia per alcune norme sul prezzo dei farmaci.

I funzionari italiani meritano queste critiche? Si, a mio avviso, perché  il controllo restrittivo dei prezzi genera due conseguenze: inibisce la ricerca medica e limita l’accesso dei pazienti italiani ai così detti farmaci salvavita.

L’Italia controlla i prezzi in diversi modi. L’AIFA, l’agenzia nazionale per i farmaci, invita le aziende farmaceutiche a tenere i prezzi bassi in modo artificiale. Allo stesso tempo non copre i farmaci più costosi, nonostante i test clinici ne abbiano dimostrato l’efficacia.

Questo atteggiamento restrittivo impedisce alle imprese di offrire al mercato italiano alcuni trattamenti. La farmaceutica italiana e’ in ritardo di circa 2,6 anni rispetto a mercati più liberi come quello degli Stati Uniti. Non è un ritardo incolmabile, ma per un paziente affetto da gravi patologie può fare la differenza tra la vita e la morte.

Gli italiani hanno sofferto inutilmente e a lungo a causa di queste politiche. Nel 2003, avevamo accesso a solo la metà dei nuovi farmaci lanciati in tutto il mondo un decennio prima. I pazienti in Francia, Germania, e Regno Unito hanno avuto accesso a più farmaci rispetto a quelli italiani.

Quando un sistema sanitario rifiuta di coprire nuovi trattamenti diminuiscono le probabilità di guarigione. Secondo Eurostat fornendo un’assistenza sanitaria “ottimale” le autorità italiane avrebbero potuto evitare oltre 50.000 decessi nel solo 2014.

Si consideri la bassa percentuale di italiani che assumono farmaci per abbassare il colesterolo, per prevenire infarti e ictus. Gli operatori sanitari italiani prescrivono le statine per abbassare il colesterolo solo al 17 per cento dei pazienti idonei. Se le statine fossero state prescritte a tutti i pazienti che potevano beneficiarne, l’Italia avrebbe potuto evitare 26.000 morti in cinque anni.

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PNR