di Silvia Ferrara
E’ dall’alba della specie, un quarto di milione di anni fa, che gli esseri umani sono in grado di parlare. Nel corso della nostra evoluzione, il cervello umano ha avuto tempo di adattarsi a questa facoltà, usando parti, come le aree di Broca e Wernicke, per specializzarsi nella produzione e ricezione dei suoni del linguaggio. Queste aree non sono ‘nuove’ o esclusive all’uomo, eppure nell’uomo si sono sviluppate con precisissima specializzazione. Così noi oggi acquisiamo il linguaggio naturalmente, senza sforzo apparente.
Quello che state facendo adesso, cioè leggere, è tutt’altra cosa. Per leggere, dobbiamo riconoscere, memorizzare, e assorbire le forme grafiche dei suoni che articoliamo. Un atto molto innaturale per noi, frutto di trasmissione culturale e non della nostra evoluzione. Questo si spiega perché l’invenzione della scrittura, avvenuta ca. 5000 anni fa nel caso più antico, è troppo recente per essere stata programmata nel hard-disk del nostro cervello. E allora la flessibilità dei nostri neuroni cerebrali ha imparato, nei pochi millenni benedetti dalla scrittura e dai suoi segni, a riciclare parti preposte a captare altro: è così che il solco laterale occipito-temporale sinistro, programmato per riconoscere le forme e contorni degli oggetti, viene riutilizzato per distinguere le forme dei segni di scrittura. I segni si sono a loro volta, nel corso della storia, adattati, non per trazione naturale, ma per pura necessità, a conformarsi a come il cervello scannerizza il mondo intorno a noi, fruendo di contorni, linee, segmenti limitati. Per questo motivo un codice QR (cioè i quadratini bianchi e neri che collegano oggetti al mondo virtuale) viene riconosciuto perfettamente da uno smartphone ma, per la nostra retina, è illeggibile.
Oggi viviamo in una società di grafomani, usiamo Whatsapp più del telefono, scriviamo, giochiamo, comunichiamo con gli emoji. Siamo tornati non tanto ai geroglifici (termine improprio, in questo caso), ma stiamo ricorrendo a un elemento mai reso obsoleto dal tempo e dalla tecnologia: l’iconicità, simile a quella delle prime scritture inventate nel 3500 a.C. Questo spiega che il nostro cervello è destinato a far uso di ‘cose’ riconoscibili del mondo intorno a noi, a riconoscere oggetti prima che segni astratti, per comunicare in via scritta. E spiega anche perché la stenografia è pressoché defunta. Così non si fa solo ‘prima’, ma si fa più naturalmente. Non siamo tornati indietro, stiamo, invece, andando avanti, fedeli alla nostra natura, conformi alle regole della nostra evoluzione.
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