di Silvia Ferrara
Avete notato che quando Donald Trump improvvisa i suoi discorsi dice spesso ‘most people don’t know that…’. Di solito questo succede quando è proprio Trump ad aver appena imparato qualcosa che lui in primis non sapeva. Tipo che il Presidente Lincoln era repubblicano o che il sistema sanitario americano è una matassa di complicazioni ingestibili. L’oratoria articolata e ciceroniana di Obama sembra una cosa del secolo scorso. Trump è il primo presidente che non solo non parla da presidente, ma non sa proprio parlare.
La nostra specie forse si esprimeva come lui prima dell’avvento della scrittura. I presidenti americani hanno sempre affinato la loro retorica, come se venisse dal libro stampato. In realtà quello che fa Trump, seppure involontariamente, è efficace per un motivo molto semplice.
Ormai sappiamo che il linguaggio è nato dall’interazione tra membri della stessa comunità per comunicare non solo dati e informazioni, ma anche empatia. In studi recenti si è arrivati a concludere che il linguaggio nasce in un percorso di evoluzione cognitiva che ha progredito a braccetto con quello delle emozioni umane. Il linguaggio, in poche parole, altro non è che un’emozione sociale.
E’ per questo che il proto-linguaggio di Trump colpisce nel segno, non perché è semplice e accessibile, ma perché ci tocca nella nostra antica, primordiale essenza di primati. Tocca le nostre corde da pre-letterati e lo riconosciamo a livello biologico più che intellettuale. Ci basta guardarlo per capire cosa dice: le vocali aperte che seguono l’apertura della bocca, i gesti e le posture impositive da ‘manspreading’, le ripetizioni da richiamo scimmiesco.
Fa quasi sorridere che nel conflitto a freddo tra Nord Corea e USA, i termini usati dai due duellanti non potrebbero essere più diversi. Non so che effetto abbia avuto su di voi, ma io appena ho sentito Trump chiamare il dittatore coreano ‘rocket man’ nel suo discorso all’ONU, ho iniziato a canticchiare la canzone di Elton John, immediatamente. E quando Kim Jong Un gli ha dato, in risposta, del ‘dotard’ (‘rimbambito senile’), ho dovuto riprendere in mano l’Oxford English Dictionary e una splendida poesia di Melville che descrive uno squalo letargico e ottuso: un riferimento intertestuale da fine intellettuale. Non sono l’unica ad aver reagito cosi. Secondo un tweet del Merriam-Webster (l’equivalente americano della nostra Treccani) la ricerca del significato di ‘dotard’ sta viaggiando alta come un aquilone.
Insomma, per capire le sottili semplicità e le articolazioni evolutive dei nuovi, moderni, stili dittatoriali, bisogna sapere bene come funzionano le lingue e i linguaggi.