di Maria Serra
Era il V secolo e nella città di Roma, settecento mila abitanti circa, capitale dell’Impero Romano e crocevia di popoli e etnie diverse, non erano poi così rari periodi di carestia, durante i quali si verificavano moti e sollevazioni della popolazione urbana: la violenza di fatto era una forma per esprimere disagio e malessere soprattutto per le masse di cittadini poveri e poverissimi. I romani, non diversamente dai tessuti sociali delle altre città che cominciavano a prendere forma, erano un popolo di debitori e vivevano sotto schiaffo della nobiltà e dell’aristocrazia.
Siamo nel XXI secolo e, nell’epoca della globalizzazione, non sembra che sia cambiato poi molto, se non fosse per il fatto che, se nell’antichità erano soprattutto la ‘fame’ e la povertà a scatenare gli istinti più bassi e violenti dell’uomo, oggi, a questi fattori, si sono aggiunte una serie di variabili sociali che hanno creato una vera e propria escalation di violenza urbana, considerando che si tratta di un ambito che abbraccia un vasto insieme di comportamenti ed azioni che possono essere considerati devianti e che fanno riferimento a quell’ampia gamma di atti che vanno dalle inciviltà al crimine: atti che sono fortemente associati all’aumento del sentimento di insicurezza nelle società urbane contemporanee, che è all’origine della centralità della questione della sicurezza nell’attuale dibattito politico e sociale.
Nella loro eccezionalità, i recenti fatti di cronaca, da Las Vegas a Barcellona, passando per tutte quelle città colpite dal terrorismo, ci dicono molto di questo stato di malessere generalizzato in tutte le sue forme. Pensiamo poi a situazioni con le quali tutti ci confrontiamo più spesso nella nostra quotidianità: violenze verbali e fisiche nei confronti di tante donne, innumerevoli atti di vandalismo che deturpano la città, anche nelle sue bellezze storiche più rappresentative, mezzi pubblici danneggiati e autisti minacciati nello svolgimento del loro lavoro, la spirale dei cassonetti di spazzatura incendiati nelle città, l’incontrollato spaccio di droghe leggere e non in spazi pubblici, lo sfruttamento della prostituzione e, non ultimo, il ricovero di tanti immigrati in strutture malmesse e in quartieri, dove l’assenza di controllo, va poi ad incidere pesantemente sulla percezione di insicurezza di interi aree urbane sfociando spesso in veri e propri disordini sociali.
E’ dal 2008 che in Italia si parla di ‘sicurezza urbana’ grazie ad un decreto ministeriale ad hoc che ha attribuito ai Sindaci poteri di intervento in una materia fino allora di esclusiva competenza dello Stato. Da qui in avanti è iniziata una sensibilizzazione mediatica che ci ha riempito di dati e attraverso la quale la classe politica ha costruito vere e proprie campagne elettorali. Di fatto la situazione non sembra essere cambiata poi molto e siamo stati anche ammoniti dall’Europa a più riprese perché non abbiamo recepito le direttive sulla sicurezza urbana: un esempio l’istituzione nel 1991 del numero unico emergenze 112, ancora oggi in funzione solo in Lombardia, Piemonte, Liguria, Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige e Lazio.
Passati nove anni, il 21 febbraio scorso è entrato in vigore il decreto legge n. 14 “Disposizioni urgenti in materia di sicurezza delle città” che introduce strumenti volti a rafforzare la sicurezza delle città e la vivibilità dei territori e di promuovere interventi volti al mantenimento del decoro urbano: oltre alle ordinanze del sindaco in molte delle situazioni precedentemente normate dal Tuel (Testo unico degli enti locali), si interviene anche in materia di divieto di somministrazione di bevande alcoliche ai minori di anni 18 ultrasedicenni e viene introdotto il Daspo nei locali e pubblici esercizi.
Ad oggi, dunque, possiamo almeno dire che la sicurezza costituisce un valore che accomuna Stato e autonomie nelle responsabilità di garantire la vita delle comunità da eventi e circostanze che possono insidiarne la tranquillità. Ma abbiamo bisogno di città sostenibili dove si applichi un quadro integrato che rappresenti un nuovo modo di pensare alla cultura della sicurezza e una nuova governance che predisponga politiche per combattere l’esclusione sociale, modelli e politiche di urbanizzazione, modelli di polizia, forze di sicurezza preparate per il mantenimento dell’ordine e la gestione dei conflitti riconducibili ad eventi di diverso ordine, politiche di integrazione della popolazione immigrata e dei suoi discendenti ed una nuova urbanistica, più attenta alla sicurezza e non spazialmente segregazionista.
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