di Lucrezia Vaccarella

Non ho mai dimenticato quegli istanti… né quanto sia stata fortunata.

Era una sera umida di novembre ed ero contenta di aver trovato un posto auto, in un garage, distante poche decine di metri da casa. Ho aperto il cancello elettrico, oltre il quale ho imboccato la classica rampa  che mi ha condotto all’autorimessa. Lasciata l’ auto al suo interno, ho intrapreso il percorso,  a ritroso. Ero a metà della rampa quando qualcuno, aggredendomi alle spalle, mi ha messo una mano davanti alla bocca premendovela sopra per impedirmi di gridare e chiedere aiuto.

“Non è possibile  che mi stia succedendo “ , questo il mio primo pensiero, seguito da una gomitata all’ aggressore, sufficiente a fargli mollare la presa e a fuggire dagli insulti e dalle minacce che gli ho rivolto durante il breve tragitto che mi separava da casa. Ostentavo spavalderia ma avevo paura che tornasse indietro.

Le mie grida non hanno destato attenzione, Non si è affacciato nessuno dei residenti!

Quando ho chiuso il portone alle mie spalle, finalmente al sicuro, sono stata sopraffatta dalle emozioni…ero salva, spaventata, ma salva.

Di lì a qualche settimana ricordo che alcune donne sono state stuprate mentre si trovavano all’interno di locali analoghi.

Sono trascorsi diversi anni, da allora, ma ho impresso nella memoria ogni fotogramma di quell’episodio. Però, mi chiedo: se un’aggressione sventata sul nascere è capace di lasciare un segno indelebile, per quanto tenue, quanto profonda e fino a che punto curabile la ferita inflitta, nel corpo e nell’anima, ad una vittima di stupro?

Ebbene, forse stenterete a crederlo, ma il nostro legislatore, sino ad epoche recenti, non ha recepito l’urgenza di tutela e di giustizia richieste dalle vittime, per lo più donne e minori, di violenza ed abusi sessuali.

Anzi non è così tanto lontano il tempo in cui si sosteneva non potersi  definire “violenza – vis cui resisti non potest” , secondo il noto brocardo latino, quella necessaria a vincere la naturale ritrosia femminile ( Corte di cassazione   20 febbraio 1967)

Sino al 1996 i reati contro la libertà sessuale erano disciplinati dal titolo IX del codice penale, nell’ambito dei “delitti contro la moralità pubblica ed il buon costume “.

 Il legislatore non li reputava così gravi, al punto da ritenerli punibili solo a querela della persona offesa e non su impulso diretto dell’ufficio del Pubblico Ministero. Operava un distinguo tra il delitto di “violenza carnale“ commesso da “chiunque con violenza o minaccia costringe taluno a congiunzione carnale, dagli atti di libidine violenti, diversi dalla congiunzione carnale .

Ad elidere ogni funzione dissuasiva della pena comminata ai responsabili, l’art. 544 del codice penale stabiliva che per tali delitti, “il matrimonio che l’autore del reato contragga con la persona offesa  estingue il reato, anche riguardo a coloro che vi abbiano concorso e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali “. Il matrimonio riparatore ripuliva la donna dall’onta restituendole l’onestà, e rendeva candido il reo che, offrendosi di sposarla, le restituiva dignità sociale.

Tale aberrante disposizione è stata abrogata soltanto con la legge  n. 442 del 5 agosto 1981 che finalmente ha bandito dall’ordinamento un’altra norma, non meno aberrante, del codice penale.

Mi riferisco al delitto “d’onore” disciplinato dall’art. 587 del codice che recitava “ Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella.”

Un orrore a senso unico, apparentemente contenuto dal riconoscimento dell’attenuante in favore del “coniuge”, senza distinguo tra moglie e marito.

Sorrido pensando a Monica Vitti, la ragazza con la pistola che inseguiva il suo seduttore per ucciderlo e salvare l’onore perduto. La realtà era di tutt’altra natura.

Ma bisognava attendere la legge n. 66 del 15 febbraio 1996 perché l’intero impianto dei delitti contro la libertà sessuale fosse riformato. A partire dal loro inserimento nel novero dei delitti contro la persona.

Eppure la nuova legge risulta ancora frutto di un compromesso che fatica a disgiungere la violazione, nel corpo e nell’anima, subita dalla vittima, da connotati moralistici di stampo diffusamente cattolico.

La nuova disciplina contenuta negli artt. 609 bis del codice e ss, ha abolito la distinzione tra violenza carnale e atti di libidine violenti. Oggi il codice stabilisce che “chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.”

Tuttavia, anche il nuovo art. 609 bis c.p. ha mantenuto la scelta delle norme precedenti e imperniato la condotta incriminata sugli elementi della violenza e minaccia quali mezzi tipici di coercizione al rapporto sessuale: avrebbe dovuto, tutelare la libertà in sé, il diritto di dire “NO” a prescindere dall’ uso della forza e dal grado di resistenza oppostovi dalla vittima.

Con l’art.609 quater il legislatore ha previsto una disciplina specifica per gli atti sessuali con i minorenni, declinandone la gravità in rapporto all’età del minore ed al ruolo rivestito dal responsabile del delitto.

Tuttavia mi domando quanto sia corretto qualificare gli abusi compiuti ai danni di minori alla stregua di offese della libertà sessuale di costoro…dubito che un bambino violato intraveda nell’abuso subito una lesione della propria libertà di autodeterminarsi nella sfera sessuale. Penso soltanto che a, spesso gravi, lesioni fisiche si accompagni un’irreparabile lesione della sfera emotiva della persona. L’omicidio dell’anima, tanto più grave quanto celato dall’apparente sopravvivenza del corpo: anch’essa di breve durata visti i tanti casi di suicidio delle vittime.

Il legislatore del 1996 non ha inciso sui tempi di prescrizione dei reati. Con risultati sconfortanti visti i tanti casi di giustizia negata alle vittime. di violenza sessuale. E dell’altro ieri il caso di una donna che, nel 2001, già vittima di abusi del padre, è stata costretta a compiere atti sessuali da un’educatrice e dai suoi adepti. Risultato: un processo durato 16 anni concluso con l’infame pronuncia della Cassazione che non ha potuto che accertare la prescrizione dei reati.

Di recente, tuttavia è entrata in vigore, un po’ in sordina, la riforma “Orlando“ ( Lg  23/06/2017 n° 103), che è intervenuta sul regime della prescrizione posticipandone la decorrenza al compimento del diciottesimo anno di età del minore, se l’azione penale non è iniziata prima, sospendendone i termini in taluni casi e introducendone nuovi atti interruttivi, idonei a farla decorrere nuovamente dall’inizio.

La riforma si applica ai reati successivi alla sua entrata in vigore perché nel nostro ordinamento vive il principio del favor rei. Sacrosanto principio… se non fosse per il fatto di lasciare impuniti tutti quei pedofili, pe lo più preti cattolici, che da diversi anni, complice e connivente la Chiesa di Roma, hanno ucciso le anime di bambini affidati alle loro cure.

Anche stavolta non è stata accolta l’istanza, sollevata dai più, di rendere imprescrittibili i reati sessuali malgrado la recrudescenza di violenze ai danni di donne e minori.

Ma, evidentemente qualcuno rema ancora contro e penso di sapere di chi si tratti.

Altro che tolleranza zero… come dice il Papa. 

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PNR