di Pietro Paganini
Tempi.it, 12 ottobre 2017

Molte scoperte avvengono per caso. La penicillina, i fiammiferi e anche l’America. Quello che fu il nuovo mondo fu scoperto da Cristoforo Colombo per caso, come sanno anche i bambini. Prima che Colombo ci incappasse vi erano però transitati altri navigatori, come ad esempio i vichinghi. Per quel che conosciamo, però, Colombo ci arrivò sì per caso ma nel tentativo dichiarato di trovare una nuova via per raggiungere l’India. E così avrebbe dimostrato che la terra era circumnavigabile. Colombo non era uno scienziato alla Galileo o Leonardo per intenderci, ma un esploratore come furono Giovanni Caboto (che nel 1497 arrivò in Nord America) e più tardi Ferdinando Magellano.

Gli esploratori come Colombo cominciavano a seguire il metodo sperimentale, anticipando la maturazione della scienza moderna che finalmente avrebbe scalzato la stregoneria mettendo l’umanità di allora nelle condizioni di dare un’accelerata importante allo sviluppo tecnologico oltre che alla comprensione del mondo. Qui sta la differenza tra Colombo e i Vichinghi, o chiunque passò per l’America prima dell’esploratore genovese. Colombo stava sperimentando, non stava andando a caso, seguiva invece l’istinto e la curiosità che sono caratteristiche importantissime anche degli scienziati.

Colombo aveva un’ipotesi chiara in testa e la stava verificando. E nel fallimento della sua ipotesi, cioè non più nella verifica, ma nella falsificazione, ha trovato un’altra conclusione, non più l’India ma l’America (l’ipotesi di Colombo era giusta, solo che trovò l’America in mezzo). La scoperta non è quindi il frutto del caso, come lo è forse stato per i navigatori scandinavi. È al contrario il prodotto di un ragionamento che si fonda appunto sul metodo sperimentale. L’America fu colonizzata, cosa che i vichinghi non seppero fare secoli prima, per ovvie ragioni tecniche e logistiche. In altre parole, per restare nell’ambito della scienza o meglio della disciplina dell’innovazione, arrivarono troppo presto rispetto al loro tempo, e per altro, in un’area apparentemente non popolata. Colombo capitò in una zona ricca e abitata. I tempi erano maturi per stabilire delle rotte e dare vita alle colonie.

La storia che seguì dovremmo conoscerla. Per questo Colombo è definito esploratore e colonizzatore. Non è un titolo totalmente ingiusto. Il genovese era alla ricerca, come tutti gli esploratori al soldo dei grandi paesi europei, di una via migliore per commerciare, con l’India nel suo caso. La fortuna gli si era frapposta consegnandoli una rotta originale ma soprattutto un continente nuovo, interamente inesplorato.

Ingiusto è il titolo se il termine colonizzatore assume un significato spregiativo, come invece sta succedendo in questi ultimi anni: le colonie iniziate da Colombo avrebbero dato vita allo schiavismo (per altro abolito dagli spagnoli), agli sfruttamenti e ai massacri degli indigeni. I fatti di allora sono dibattuti. Non saremo noi a condizionare il confronto. Né vogliamo cancellare la storia. Dobbiamo però dare merito a Colombo della scoperta le cui conseguenze positive sono tali da superare di gran lunga i fatti spiacevoli e negativi che ne sono derivati. Erano i fatti dei tempi, purtroppo. Fatti di cui l’umanità si rende protagonista ancora oggi, cinquecento anni dopo.

La figura di Colombo è oggi presa di mira, non solo da ambienti culturali ideologicamente indottrinati, ma anche dai molti giornalisti o presunti tali che quell’ideologia vogliono alimentare. I fatti storici vanno raccontati e sviscerati, non possono finire per negare la straordinarietà della scoperta in questione e del suo impatto sull’umanità. Colombo oggi va celebrato senza se e senza ma. E chi non lo fa rinnega caratteri fondamentali che hanno guidato lo sviluppo dell’umanità fino ad oggi.

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