di Benedetta Fiani

Ogni anno vengono sprecate 1,3 miliardi di tonnellate di cibo commestibile, pari a quattro volte il quantitativo necessario per sfamare i 795 milioni di persone che soffrono di sotto nutrizione. È evidente quindi che il problema non sia la mancanza di cibo, quanto piuttosto l’incapacità di ridistribuirlo. Nonostante la consapevolezza del problema sia chiara a più livelli (economico, sociale, ambientale e produttivo), lo spreco alimentare aumenta ad un ritmo inaccettabile. Nel 2015 l’ONU ha adottato un insieme di Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, volto anche a chiedere ai paesi membri di ridurre lo spreco alimentare pro capite entro il 2030.

Nel nostro piccolo, basta usare da alcune piccole accortezze. In Italia, ad esempio, oggi la pasta rappresenta appena il 3,5% in valore sul totale dello spreco domestico, ma da qui al 2025 si può fare ancora meglio per cercare di ridurre l’uso di acqua e di energia nella preparazione di un buon piatto di pasta. Anche perché nella filiera della pasta, il 38% della produzione di CO2 fa capo alla preparazione domestica di questo alimento. Negli ultimi anni per produrre pasta si utilizza il 20% in meno di consumi di acqua e il 21% in meno di emissioni di CO2 equivalente. E un utilizzo pari a 2,5 miliardi di m3 di acqua.

In breve, da dove iniziare?

  1. Priorità. Delle politiche che siano rivolte a ridurre lo spreco di alimenti devono affrontare le cause del fenomeno, poiché individuare la natura della perdita e dello spreco di cibo è fondamentale per risolvere la fame nel mondo (e no, non è retorica);
  2. Gli accordi di lungo termine sulla filiera alimentare – tra agricoltori, produttori e distributori – hanno degli effetti molto benefici poiché concorrono ad una migliore pianificazione e previsione della domanda dei consumatori;
  3. Nei mercati emergenti le perdite alimentari sono dovute, in gran parte alle carenze infrastrutturali e alla vulnerabilità agli shock ambientali.

La riduzione degli sprechi alimentare è un’operazione win-win, nel senso che ottenendola faremmo felici tutti. Per le aziende si aprirebbe un mercato di innovazione e tecnologia, mentre i governi potrebbero mantenere le promesse sulla lotta alla fame e al contempo raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni. Le proposte non mancano, vanno solo implementate:

  • Definire il fenomeno, spreco alimentare o perdita alimentare?
  • Comprendere le cause lungo tutta la filiera, dai campi alla distribuzione, fino ad arrivare sulle nostre tavole;
  • Promuovere iniziative di sensibilizzazione e di educazione così da rendere i consumatori più consapevoli del problema e delle conseguenze.

Il problema delle perdite e degli sprechi alimentari è enorme e per questo non può essere ignorato: in quale ambito della società si potrebbe tollerare un’inefficienza del genere? È essenziale aiutare le persone a comprendere l’entità del problema e mostrare loro che esiste una soluzione.

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PNR