di Raffaello Morelli
Il dibattito della campagna elettorale è iniziato annaspando e peggiora. Sempre più, tutte le singole liste fondano la propaganda su annunci roboanti, che esaltano oppure demoliscono tutto quanto è stato fatto negli ultimi cinque anni di governo, e che alla fine avanzano promesse accattivanti ma impossibili, e comunque senza spiegare con quali risorse realizzarle e con quali meccanismi. Il che non rassicura sulla prospettiva di governo. Soprattutto perché – giusta o sbagliata che sia l’impostazione propagandistica – nessuna di quelle liste, prese come singole o in collegamento annunciato, disporrà la sera del 4 marzo dei numeri parlamentari per governare da sola.
In altre parole, il dibattito in corso è un inganno. Ognuno fa credere al cittadino di poter realizzare quanto promette e in più gli procura, oltre il danno (l’illusione impossibile), anche la beffa (non disponendo nessuno da solo della maggioranza, toglie al cittadino anche il diritto, sancito dalla Cassazione, di chiamare falso, bugiardo e ipocrita, chi non attua, dopo essere stato eletto, quanto promesso prima). Il vero problema delle prossime elezioni è come arrivare ad una maggioranza per governare dato che la campagna elettorale si limita alle promesse per vincere da soli e non tocca i progetti per governare. Ma se addirittura non si arriverà a vincere da soli, come si potrà poi trovare una maggioranza sui temi tra gruppi contrapposti frontalmente nella campagna?
Essendo questa la situazione e non avendo il tempo per ribaltarla, sarebbe opportuno ottenere qualche miglioramento e un modo di comportarsi minimamente produttivo. Quanto al miglioramento, avrebbe qualche risultato la pressione dei giornalisti e dell’opinione pubblica onde indirizzare il dibattito sui temi prioritari sui quali ciascuna lista potrebbe accordarsi con altri dopo il 4 marzo. Un simile dibattito consentirebbe al cittadino di avere un panorama migliore sulle varie liste, sia quella da lui preferita in prima battuta sia le altre disponibili ad un accordo sui temi emersi come più convergenti o meno contrapposti. Così il voto, pur rispettando il metro della preferenza dell’elettore, potrebbe avere maggiori motivazioni, di fatto indicando, tramite i temi affini, anche le alleanze plausibili. Dunque le decisioni parlamentari manterrebbero un più stretto legame con le indicazioni dei cittadini.
Una modifica in tal senso dei contenuti del dibattito, avrebbe pure il risultato non secondario di rasserenare il clima elettorale, risollevando il confronto delle idee rispetto all’esaltare l’appartenenza. Il che arginerebbe (almeno un po’) la tentazione di astenersi e quindi sarebbe utile in punto di scelte democratiche. Di fatti l’astensione è un comportamento legittimo in termini giuridici ma il cui senso politico esprime la volontà di estraniarsi dal processo democratico , di rinunciare ad ogni forma di giudizio e di restare indifferenti sulle scelte di convivenza fatte da altri.
Quanto al modo di comportarsi minimamente produttivo, andrebbe appoggiata l’attitudine a votare solamente il candidato preferito nel proprio collegio uninominale (che non ha simbolo proprio), sia alla Camera che al Senato. Fare ciò porta tre vantaggi. Primo, privilegia il giudizio diretto dell’elettore sulla personalità del candidato, cosa che è uno dei pilastri della democrazia rappresentativa. Secondo, scegliere la miglior personalità fornisce una maggior garanzia di comportamento raziocinante qualora in Parlamento non ci sia una stabile maggioranza di governo e perciò si debba provvedere, al fine di procedere in tempo breve a nuove elezioni, ad una modifica della legge elettorale in senso più rispettoso dei cittadini. Tre si mette in secondo piano il voto alla lista proporzionale, visto che lì il cittadino non può scegliere il candidato e che ogni lista ha fatto una propaganda di promesse e non di progetto. Il voto nell’uninominale non sarebbe neutro quanto alle liste. Di fatti, nel caso il candidato uninominale sia appoggiato solo da una lista, il voto datogli viene attribuito subito anche alla lista, mentre, nel caso il candidato abbia l’appoggio di più liste collegate, il voto viene attribuito previa ripartizione tra le varie liste collegate in proporzione ai voti diretti ottenuti da ciascuna in quel collegio. Tuttavia, votare, sia alla Camera che al Senato, solamente il candidato preferito nell’uninominale, esprime la volontà del cittadino di scegliere le persone, rifiutando di indicare direttamente una lista, siccome tutte le liste sono rigide e inadeguate al proprio compito.
Questa strategia elettorale serve principalmente a manifestare l’intento dell’elettore di tenersi lontano dalla politica come annuncio palingenetico (per di più finto). Il trasformare le scelte dei cittadini in cortei inneggianti a promesse urlate di vario genere senza avere un dettagliato progetto di governo praticabile, è oggi un comportamento che mina la democrazia rappresentativa. La quale, come diceva Churchill, è la peggior forma di governo, salvo tutte quelle sperimentate finora. Del resto è evidente che, in vista del 4 marzo, tutte le liste adottano la pratica delle proposte populiste e si distinguono per la diversa credibilità di ciascuna in quanto reduce o no dall’aver governato negli ultimi dieci anni. Il che favorisce quelli che non hanno mai governato il paese (e quindi non possono essere chiamati falsi, bugiardi ed ipocriti), ma non basta per garantire competenza e affidabilità. Invece, votare solo nei collegi uninominali in base al giudizio sulla persona, serve a dare un segnale forte e coerente per rimettere in carreggiata il sistema con cui si esprime la sovranità del cittadino. Che è la sola garanzia pratica con cui costruire il futuro sulla scelta di libertà dei conviventi.