Agorà – Rai3: Jobs Act e la crescita dello zerovirgola

I numeri sono impietosi. Il Jobs Act ha determinato una crescita dello zerovirgola, un intervento straordinario che ha avuto il merito (unico) di mettere ordine nell’ambito dei contratti.

La politica del denominatore, una volta di più, è l’unica da perseguire. Con velocità e obiettivi mirati per favorire la digitalizzazione dell’economia, lo sviluppo delle infrastrutture strategiche e la conversione delle produzioni verso l’eco-sostenibilità. La produttività è la leva che manca all’economia da vent’anni, rilanciarla significa cambiare faccia all’Italia: se si comincia puntando risorse importanti per incentivare i bonus aziendali può essere un passo importante.

Naturalmente per ritrovare quella fiducia che ancora manca vanno rispettate le promesse fatte: la riforma della Pa, ad esempio, che ancora sconta resistenze nell’applicazione dei decreti del pur efficace piano Madia. Va mantenuta la riduzione dell’Ires al 24% e bloccato l’aumento dell’Iva previsto dalle clausole di salvaguardia. È decisiva la proroga della decontribuzione per i nuovi assunti che tanta parte ha avuto, assieme alle nuove regole del jobs act, nel migliorare la situazione dell’occupazione e del mercato del lavoro. Si stima che costerà fino a 800 milioni. Va potenziato il bonus ricerca, agganciando il credito d’imposta al volume dell’investimento e non solo alla sua parte incrementale; così come va potenziato il piano fiscale di aiuti alla crescita economica.

Lo spazio per il finanziamento è tutto nella flessibilità di bilancio che, tra l’altro, è tempo di ripensare su scala pluriennale (perché è sul medio periodo che gli investimenti più seri e duraturi dispiegano i loro effetti). Se l’Italia saprà produrre un piano in pochi punti e ben orientato alla leva della crescita, Bruxelles non potrà eccepire nulla. Chi volesse contestare la sostenibilità del debito italiano non potrebbe non considerare che l’Italia vanta (con pochi emuli) un virtuoso avanzo primario in crescita all’1,7% e ha ridotto al minimo storico il costo medio della raccolta del debito sovrano allo 0,57 per cento.

Uno Mattina – Rai1: Segnali incerti per la ripresa italiana

I segnali per la ripresa italiana sono incerti. I dati pubblicati il 31 Agosto dall’Istat nella sua ultima rilevazione, riguardano non solo la disoccupazione ma si concentrano anche sulle retribuzioni, sui contratti, con un focus sulla deflazione che, a quanto pare, sarebbe diminuita (buona notizia poiché potrebbe significare un nuovo aumento dei consumi).

A luglio il tasso di disoccupazione è sceso complessivamente all’11,4%, in calo di 0,1 punti percentuali da giugno ma al tempo stesso cala il numero degli occupati. Lo comunica l’Istat precisando che, dopo l’aumento registrato a giugno (+1,3%), la stima mensile dei disoccupati a luglio cala dell’1,3% (-39 mila). Il calo interessa sia gli uomini (-1,4%) sia le donne (-,2%) e tutte le classi di età eccetto i 15-24enni (+23 mila) e i 25-34enni (+38 mila). La diminuzione tuttavia è almeno in parte legata all’aumento degli inattivi, cioè persone che rinunciano a cercare un lavoro.
A luglio il tasso di disoccupazione è sceso complessivamente all’11,4%, in calo di 0,1 punti percentuali da giugno ma al tempo stesso cala il numero degli occupati. Lo comunica l’Istat precisando che, dopo l’aumento registrato a giugno (+1,3%), la stima mensile dei disoccupati a luglio cala dell’1,3% (-39 mila). Il calo interessa sia gli uomini (-1,4%) sia le donne (-,2%) e tutte le classi di età eccetto i 15-24enni (+23 mila) e i 25-34enni (+38 mila). La diminuzione tuttavia è almeno in parte legata all’aumento degli inattivi, cioè persone che rinunciano a cercare un lavoro.

Di per sé questi dati sono piuttosto contrastanti, dal momento che il segno positivo generalmente è molto flebile. Questo aspetto sottolinea come gli interventi, anche in ambito europeo, abbiano in qualche modo sortito un effetto positivo, ma non si tratta comunque di azioni sufficienti. Il Paese continua ad avere bisogno di riforme più solide e più ampie per una ripresa più duratura.

Uno Mattina – Rai 1: Tuteliamo l’efficienza del lavoro

Alla luce di quanto emerso dalla bozza della riforma del pubblico impiego, risulta necessario focalizzarsi sull’efficienza del lavoro. Negli ultimi anni il nostro Paese ha perso produttività a causa delle gravissime lacune nel settore digitale, è evidente che abbiamo una bassa capacità di rendere efficiente il lavoro non a caso fatichiamo a premiare il merito. Questo è dovuto alla poca flessibilità che abbiamo nel valorizzare forme nuove di lavoro, tendiamo ancora a pagare il lavoro per ora lavorata quando invece avrebbe più senso soffermarsi sulla rapidità ed efficacia del lavoro svolto.

La tassazione sul lavoro, scarsa digitalizzazione, poca efficienza: tutto questo rende instabile e precario il mercato del lavoro. Quello che attende i giovani italiani sarà un mercato del lavoro entra/esci, in cui le competenze guadagnate a scuola risulteranno già vecchie ed obsolete non appena si tenterà di affacciarsi nel sistema. La fascia dei cinquantacinquenni che oggi hanno perso il lavoro, nel medio periodo si scorcerà verso frange di popolazione più giovane, come i trentenni, persone a cui si richiederà una formazione del tutto nuova per sfidare la competizione lavorativa di un mercato in costante trasformazione.

Questo deve esserci di lezione. Le imprese devono tornare nelle scuole e le scuole devono avvicinarsi alle imprese.

Con la nuova riforma del pubblico impiego si dovrebbe limitare il merito ad alcuni e non a tutti alla luce di obiettivi raggiunti che, ragionevolmente non potranno essere soddisfatti da chiunque. E’ un efficientamento della spesa che nel pubblico, come già avviene nel privato, deve spingere i dipendenti a fare sempre meglio.