Agorà – Rai3: Il costo di accettare la corruzione

Nei giorni dell’ira non bisogna lasciarsi trasportare dalla pancia, ma occorre farsi guidare da riflessioni strutturate su problemi reali. Come la questione del reddito di cittadinanza, di cui si sta ricominciando a parlare in diverse parti del mondo e su cui vorrei fare chiarezza. Il reddito di cittadinanza è un sussidio universale e non condizionato: in altri termini lo ricevono tutti quanti, per un tempo indefinito e indipendentemente dalla loro ricchezza o da altri redditi che percepiscono. Altra cosa invece è il reddito minimo garantito, che un programma universale e condizionato, nel senso che le sue regole determinano chi può avere diritto al sussidio e chi no. Il reddito di cittadinanza non esiste praticamente in nessun paese del modo, mentre il reddito minimo è molto usato in Europa e, come sempre, ha i suoi sostenitori e i suoi detrattori. Il reddito di cittadinanza ha un solo grande problema: è costosissimo. Il reddito minimo garantito, invece, è molto più economico, ma è difficile fare una stima esatta. Essendo una misura “condizionata”, bisognerebbe capire quali sono le regole che lo farebbero scattare prima di poter ipotizzare il suo costo.

Altro nodo cruciale su cui ho riflettuto questa mattina ad Agorà, ospite di Serena Bortone, è il costo della corruzione in Italia. Non esistono delle stime precise – si parla di decine di miliardi – ma ciò che è sicuro è che la criminalità si annida e si insinua fra le maglia di una burocrazia lentissima e complicata. E così si spacca il Paese, tra opere che vengono realizzate in trasparenza, altre che non vengono realizzate per niente, altre ancora che sono state tirate su tra l’incompetenza e la sciatteria. Non fingiamo però di non capire quale sia il grande problema: una sottaciuta cultura dell’accettazione che alimenta la criminalità e l’approssimazione.

Banda larga, tra neostatalismo e sperpero pubblico

“Banda larga: neostatalismo largo e uso largo di denaro pubblico”, questo il titolo del Convegno introdotto e coordinato dai parlamentari Daniele Capezzone e Massimo Corsaro, presso la Camera dei Deputati nella Sala del Mappamondo.

Oltre al sottoscritto, hanno partecipato fra gli altri, Raffaele Barberio, direttore di Key4biz, Lorenzo Castellani, Direttore Scientifico della Fondazione Einaudi, Franco Debenedetti, Presidente dell’Istituto Bruno Leoni, Luigi Gabriele, Associazione Consumatori Codici, Giuseppe Pennisi, Consigliere CNEL, economista ed editorialista, Massimo Trovato, Istituto Bruno Leoni, e Francesco Vatalaro, docente di Telecomunicazioni presso l’Università di Roma Tor Vergata.

 

 

 

Unomattina – Rai1: Rallenta la ripresa dell’economia italiana

Rallenta la ripresa dell’economia italiana nel breve termine, che cresce ma perde slancio, lo dice la nota mensile dell’Istat. Segnali sempre poco favorevoli arrivano anche dai consumi, dal clima di fiducia delle famiglie italiane e dalle imprese dei servizi. Nel primo trimestre le performance delle imprese hanno confermato la tendenza al miglioramento dei mesi precedenti.

Rispetto al trimestre precedente l’Istat segnala che il valore aggiunto sia aumento dell’1,2%, il risultato lordo di gestione dell’1,5% e gli investimenti fissi lordi dell’1,0%. Ma a questi segnali corrisponde, tuttavia, un’evoluzione modesta ed eterogenea degli indici di fiducia nel secondo trimestre che segnalano il lieve miglioramento dei giudizi delle imprese manifatturiere e di costruzione a fronte del peggioramento di quelli delle imprese dei servizi di mercato e del commercio. Le nubi non si dissipano, poiché devono ancora essere considerati i dati relativi allo shock per la Brexit.

A complicare un quadro non certo roseo, c’è la caduta dei prezzi al consumo confermando le aspettative di una inflazione ancora debole. Ne deriva che oltre la metà dei consumatori continua ad aspettarsi prezzi al consumo stabili nei prossimi dodici mesi, mentre tra i produttori di beni di consumo le indicazioni di possibili aumenti nel breve periodo rimangono molto limitati.

E’ fresca di poche ore la notizia per cui la Consulta ritiene legittimo il prelievo di solidarietà sulle pensioni d’oro introdotto dal Governo Letta due anni fa. La penalizzazione colpisce, con un taglio del 6%, gli assegni previdenziali di importo annuo compreso (valori 2016) tra 91.343,99 e 130.491,40 euro (fra 14 e 20 volte l’importo della pensione minima); il taglio sale al 12% per gli importi tra 130.491,41 e 195.737,1 euro; arriva al 18% per gli importi superiori.

Di questo e molto altro ho parlato ad Unomattina stamane, ospite di Rai Uno.

Omnibus La7 – L’Europa dopo la Brexit

Quale sarà il futuro dell’Europa dopo la Brexit? Questa mattina sono stato ospite di Omnibus La7, per ragionare e mappare le incertezze politiche ed economiche europee a seguito del voto al referendum britannico. Partendo da presupposto che il mondo sta cambiando da un punto di vista tecnologico, lavorativo ed economico, l’Unione Europea non è stata in grado di rispondere in maniera adeguata, ad oggi questa lacuna impone una trasformazione nel modello di sviluppo europeo.

L’Europa dovrebbe portare avanti una riflessione sulla propria struttura, ma la verità è che l’Europa non esiste in quanto Stati Uniti d’Europa, ma in quanto un’Unione di Stati i cui rapporti sono regolati da una serie di trattati. Tuttavia, i Paesi continuano a rivendicare una loro egemonia ed identità, soffrendo la delega di una parte della loro sovranità a Bruxelles. Non dimentichiamoci che poco più di un anno fa sull’Europa aleggiava lo spettro di un’altra EXIT, quella greca. La Grexit non l’ha risolta ancora nessuno e la Grecia, a parte qualche timida riforma strutturale, rimane uno stato completamente privo di un’economia industriale su cui dovrebbe dipanarsi la ripresa.

A questo si deve aggiungere la difficoltà che Milano riscontra nel trasformarsi in un vero e proprio hub finanziario europeo. I CEO e gli azionisti delle grandi multinazionali, nel caso in cui vagliassero l’opzione di abbandonare Londra, a seguito della Brexit, per portare i loro HQ in altre città europee, difficilmente opterebbero per Milano, preferendole Dublino o Francoforte. Non è una questione meramente legata al fisco, che in Italia è comunque più alto rispetto ad altri paesi europei, ma è la difficoltà che si riscontra a fare impresa nel nostro Paese a disincentivare gli investimenti. Una burocrazia esageratamente complicata, come quella italiana, ed un sistema legale non sempre limpido, distraggono dalle importanti prospettive che potrebbe giocarsi la città di Milano, in quanto unica città italiana dallo spirito europeo ed internazionale, a seguito del voto britannico in favore della Brexit.