Sono ore decisive per la Brexit. Se la Gran Bretagna dovesse votare l’uscita dall’Unione Europea, venerdì 24 giugno la prima… Continue Reading
Studio24 – Rainews: Se la Brexit facesse la fortuna di Milano?
Se la Brexit facesse la fortuna di Milano? Non si può stabilire a tavolino l’impatto dell’uscita di un Paese europeo dall’Unione, dal… Continue Reading
Agorà – Rai3: Brexit, come si esce dall’Unione Europea
Ragionare su come si esce dall’Unione Europea non è un esercizio difficile come quantificare i vantaggi e gli svantaggi dell’eventuale uscita della Gran Bretagna. Una vittoria dei favorevoli all’uscita è percepita con estrema preoccupazione in tutto il continente, preoccupazione dettata dall’incertezza delle conseguenze, non solo economiche, ma anche politiche dal momento che c’è da considerare il fatto che nessuno ha idea di cosa accadrà se e quando uno stato membro decidesse di lasciare l’Unione Europea.
Innanzitutto, non si può approvare, nell’immediatezza di un risultato referendario, l’uscita dall’Unione Europea perché i rapporti legali tra la Gran Bretagna e l’Unione Europea sono regolati da accordi e trattati che derivano proprio dalla sua appartenenza all’UE – un esempio per tutti, il mercato unico europeo, ossia l’assenza di barriere per la circolazione di persone, merci e capitali all’interno dei confini europei. Questi accordi dovranno essere necessariamente rinegoziati, negoziazioni che potrebbero trascinarsi fra i due e i sette anni.
Tuttavia le conseguenze di un Leave potrebbero essere meno traumatiche di quanto si pensi, con i mercati che stanno già scontando la possibilità e con la sterlina che si è già indebolita rispetto all’euro. La Bank of England ha già previsto un fondo di stabilità sia per i mercati valutari che per quelli delle obbligazioni e i grandi investitori si sono già allontanati da titoli con attività troppo esposte sul Regno Unito.
L’unica cosa certa rimane il fatto che dopo il 23 giugno l’Europa non sarà più la stessa.
Uno Mattina – Rai 1: G7, la priorità è la crescita tra crisi e petrolio
Al G7 di Shime i capi di Stato delle sette più grandi economie industriali al mondo hanno stabilito che la priorità da affrontare deve essere la crescita economica, tra crisi e petrolio. Per rilanciare la crescita potenziale si usa generalmente una ricetta di policy mix, fatta di politiche fiscali, monetarie e riforme strutturali. Il Primo Ministro giapponese, Shinzo Abe, ha cercato un coordinamento al vertice del G7 per allargare il cordone della borsa con politiche fiscali espansive. Tuttavia l’opinione dell’irriducibile Germania (e anche della Gran Bretagna) è quella di puntare al solito preciso rigore. Sul tavolo, quindi, restano solo le banche centrali a ridurre i tassi e a comprare le obbligazioni per rendere più facile la ripresa e le riforme strutturali.
A quale soluzione si arriverà? Probabilmente ad un nulla di fatto. Il Vertice in Giappone sembra essere servito solo ad esporre i problemi di ciascuno, fallendo l’obiettivo di un coordinamento comune in ambito economico. Il sentore di una crisi globale è forte, tra migranti e rischio Brexit, questo intimorisce gli investitori che quindi preferiscono non investire, ripercuotendosi negativamente sulle aziende che hanno meno soldi. Il circolo vizioso finisce con il colpire l’economia che non cresce. Shinzo Abe è stato caustico nell’evidenziare uno spaventoso parallelismo. Il calo del 55% dal 2014 del prezzo delle materie prime è la stessa percentuale registrata prima del collasso di Lehman Brothers. La campana sta suonando ma nessuno presta ascolto.
L’aumento, piuttosto repentino, del prezzo del petrolio a 50$ al barile può favorire l’economia globale, anche se le aziende petrolifere soffrono ancora gli effetti nefasti del crollo del greggio a meno di 30$ al barile dello scorso anno. L’aumento del prezzo è dovuto fondamentalmente all’interruzione dell’estrazione in alcuni paesi, come in Venezuela in cui l’estrazione del greggio è arrivata a costare più della vendita del prodotto, Nigeria e Iraq, dilaniati dalla morsa del terrorismo.
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