Omnibus – La7: Se il settore bancario non ci dà pace

Circa un anno fa, per le quattro banche salvate – CariFerrara, Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti – alcune grandi banche hanno partecipato attivamente al loro salvataggio attraverso il Fondo di Risoluzione. Questo ha comportato però l’introduzione, nei conti corrente dei propri clienti, alcuni aggravi che hanno fatto discutere le associazioni dei consumatori e non solo. Al di là però del concetto di bail in, è giusto che a fare le spese dei disastri del sistema siano sempre i correntisti? E’ eticamente accettabile questo?

Il settore bancario negli ultimi mesi sta attraversando non poche trasformazioni nella più completa immobilità dei banchieri. Inoltre non aiuta far finta di dimenticare che la questione spinosa dei salvataggi non si esaurisce con i quattro piccoli istituti sopra menzionati, ma si allarga a macchia d’olio se si accenna al Monte dei Paschi. Ecco come da una semplice analisi geografica ci si rende conto che le banche maggiormente colpite sono istituti che occupano zone del Centro Italia, dove la politica – tradizionalmente di sinistra – si mischia e si intreccia con dinamiche differenti.

Ad ogni modo, il timore generale è che ci sia un ulteriore capitolo in questa vicenda, con epiloghi non dissimili da quelli sperimentati nei mesi scorsi. L’eccesso di regole e di norme finisce con il pesare sulle banche che, a loro volta, si rivalgono sui correntisti, e il tutto in piena conformità della legge. Bisogna dire che sull’Italia grava lo scarso peso politico che abbiamo in Europa e l’assenza di uomini forti nei board della BCE: questo ci ha rallentato facendoci perdere del tempo prezioso. Chi ha pagato l’intempestività di certi provvedimenti sono stati i clienti e i lavoratori.

Uno Mattina – Rai 1: Tuteliamo l’efficienza del lavoro

Alla luce di quanto emerso dalla bozza della riforma del pubblico impiego, risulta necessario focalizzarsi sull’efficienza del lavoro. Negli ultimi anni il nostro Paese ha perso produttività a causa delle gravissime lacune nel settore digitale, è evidente che abbiamo una bassa capacità di rendere efficiente il lavoro non a caso fatichiamo a premiare il merito. Questo è dovuto alla poca flessibilità che abbiamo nel valorizzare forme nuove di lavoro, tendiamo ancora a pagare il lavoro per ora lavorata quando invece avrebbe più senso soffermarsi sulla rapidità ed efficacia del lavoro svolto.

La tassazione sul lavoro, scarsa digitalizzazione, poca efficienza: tutto questo rende instabile e precario il mercato del lavoro. Quello che attende i giovani italiani sarà un mercato del lavoro entra/esci, in cui le competenze guadagnate a scuola risulteranno già vecchie ed obsolete non appena si tenterà di affacciarsi nel sistema. La fascia dei cinquantacinquenni che oggi hanno perso il lavoro, nel medio periodo si scorcerà verso frange di popolazione più giovane, come i trentenni, persone a cui si richiederà una formazione del tutto nuova per sfidare la competizione lavorativa di un mercato in costante trasformazione.

Questo deve esserci di lezione. Le imprese devono tornare nelle scuole e le scuole devono avvicinarsi alle imprese.

Con la nuova riforma del pubblico impiego si dovrebbe limitare il merito ad alcuni e non a tutti alla luce di obiettivi raggiunti che, ragionevolmente non potranno essere soddisfatti da chiunque. E’ un efficientamento della spesa che nel pubblico, come già avviene nel privato, deve spingere i dipendenti a fare sempre meglio.