Uno Mattina – Rai 1: Tuteliamo l’efficienza del lavoro

Alla luce di quanto emerso dalla bozza della riforma del pubblico impiego, risulta necessario focalizzarsi sull’efficienza del lavoro. Negli ultimi anni il nostro Paese ha perso produttività a causa delle gravissime lacune nel settore digitale, è evidente che abbiamo una bassa capacità di rendere efficiente il lavoro non a caso fatichiamo a premiare il merito. Questo è dovuto alla poca flessibilità che abbiamo nel valorizzare forme nuove di lavoro, tendiamo ancora a pagare il lavoro per ora lavorata quando invece avrebbe più senso soffermarsi sulla rapidità ed efficacia del lavoro svolto.

La tassazione sul lavoro, scarsa digitalizzazione, poca efficienza: tutto questo rende instabile e precario il mercato del lavoro. Quello che attende i giovani italiani sarà un mercato del lavoro entra/esci, in cui le competenze guadagnate a scuola risulteranno già vecchie ed obsolete non appena si tenterà di affacciarsi nel sistema. La fascia dei cinquantacinquenni che oggi hanno perso il lavoro, nel medio periodo si scorcerà verso frange di popolazione più giovane, come i trentenni, persone a cui si richiederà una formazione del tutto nuova per sfidare la competizione lavorativa di un mercato in costante trasformazione.

Questo deve esserci di lezione. Le imprese devono tornare nelle scuole e le scuole devono avvicinarsi alle imprese.

Con la nuova riforma del pubblico impiego si dovrebbe limitare il merito ad alcuni e non a tutti alla luce di obiettivi raggiunti che, ragionevolmente non potranno essere soddisfatti da chiunque. E’ un efficientamento della spesa che nel pubblico, come già avviene nel privato, deve spingere i dipendenti a fare sempre meglio.

Sbagliando s’impara

E’ stato presentato venerdì 20 maggio, presso la John Cabot University, a Roma, l’annuale rapporto sull’imprenditorialità che Amway realizza ogni anno in collaborazione con l’Università Tecnica di Monaco (TUM) e GfK.

Il tema principale della Tavola Rotonda – il fallimento come opportunità o freno allo spirito imprenditoriale – è stato ispirato dalla recente iniziativa del DDL Fallimenti, attualmente in esame alla Commissione Giustizia, che in coerenza con quanto già avvenuto in moltissimi Paesi europei, elimina la parola fallimento per concentrarsi, invece, sulla gestione della crisi e dell’insolvenza.

Quello che dimostra la ricerca è che in Italia, ad esempio, la voglia di intraprendere è stabile: il 73% degli italiani risulta avere un atteggiamento positivo verso l’imprenditorialità, un dato che si attesta al di sopra della media europea (72%) ma resta leggermente inferiore rispetto a quella globale (75%). E’ importante evidenziare come l’atteggiamento europeo verso il fare impresa sia più bassa rispetto alle altre regioni dl mondo.

Tuttavia da un punto di vista più concreto le cose vanno decisamente verso un’altra direzione. Tra i freni all’iniziativa imprenditoriale, in Italia si conferma molto significativa la paura del fallimento. A livello mondiale siamo secondi solo al Giappone, che però ha un atteggiamento culturale all’imprenditorialità del tutto peculiare.

Per comprendere appieno la rilevanza di questo dato, Amway ha preso a paragone gli Stati Uniti dove, nonostante dal 2013 abbiano avuto un notevole aumento della paura di fallire (dal 37% al 62%), non esiste lo stigma sociale dell’aver fallito. Il fallimento è vissuta tendenzialmente come stimolo a migliorarsi e a crescere.

Dall’indagine emerge come nei paesi in cui il PIL è più alto, la paura di fallire è percepita meno come un ostacolo per avviare un’attività d’impresa di quanto non accada in quelli in cui il PIL è più basso. Parallelamente la paura di fallire è percepita come un ostacolo soprattutto nei paesi in cui c’è maggiore avversione all’incertezza.

Il DDL Fallimenti propone di abbandonare l’espressione “fallimento” per evitare l’aura di negatività e discredito, anche personale che si accompagna a questo termine. Negatività e discredito che non sempre sono giustificati dal semplice fatto che un’attività abbia avuto un esito sfortunato.

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